Un vero e proprio focolaio d’infezione di epatite A si è diffuso in Europa durante il 2013, con oltre il 90% delle segnalazioni in Italia, dovuto al consumo di frutti di bosco surgelati

E’ quanto emerso dal secondo rapporto diffuso dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), secondo il quale il contagio si sarebbe diffuso a partire da un lotto di prodotti che costituirebbe il minimo comune denominatore delle 1444 segnalazioni effettuate.

Primi sette casi nel Nord Italia

La possibilità di avere a disposizione durante tutto l’arco dell’anno frutta e verdura anche non di stagione, grazie ai sistemi di trasporto e congelamento, ci espone tuttavia a rischi ai quali spesso non pensiamo, se non quando si verificano casi eclatanti come questo.

Sembra che i primi sette casi, risalenti al maggio scorso, siano attribuiti a un gruppo di sciatori tedeschi recentemente tornati in patria dopo un soggiorno nel Nord Italia; da allora l’epidemia di epatite A ha rapidamente assunto proporzioni di una pandemia, spingendo le autorità sanitarie ad indagare sull’origine del focolaio: una partita di more e ribes rosso consumata dai suddetti turisti.

Si sospetta soprattutto l’agricoltura bulgara (per le more) e polacca (per il ribes rosso), anche se non sono giunte conferme di quest’ipotesi dall’Efsa, che opta più per un’unica sorgente agricola.
Proprio l’anno scorso in questo periodo, a causa del preoccupante aumento di contagi di epatite A nel Nord Italia per i frutti di bosco surgelati, il Ministero aveva chiesto una rogatoria a Polonia, Canada e Ucraina.

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I rischi dei sistemi di congelamento

Ma come è potuta avvenire questa pericolosa contaminazione?

Le cause sono in realtà ancora ignote, ma potrebbero essere legate ad un errore nel procedimento di congelamento o alla presenza di lavoratori stagionali portatori di virus, sui terreni dove si è verificata la contaminazione.

Nonostante l’epatite A non rappresenti una patologia mortale, questa epidemia fa sicuramente riflettere sui pericoli insiti nella scelta di consumare prodotti di cui risulta difficile tracciare una mappa sanitaria sicura, preferendoli invece alla frutta stagionale coltivata a “chilometro zero”.

Questo problema, con evidenti implicazioni a livello sanitario, è certamente amplificato dal contestuale declino delle economie locali e dall’abitudine di volere sempre a disposizione tutta la frutta e verdura.