Alzheimer, dalla Cina il primo farmaco a base di un’alga bruna

Un futuro in cui anche l’Alzheimer si potrà diagnosticare con un semplice esame del sangue è più vicino di quanto si creda: è quanto ipotizzato dallo studio di alcuni ricercatori dell’Università della California di Los Angeles, pubblicato su Neurology

La dott.ssa Liana Apostolova, direttore del laboratorio di Neuroimaging presso il Mary S. Easton Center for Alzheimer’s Disease Research della Ucla e capo del team di ricerca, spiega: “i biomarcatori ematici avrebbero l’importante vantaggio di essere sicuri, convenienti e facili da gestire anche in grandi gruppi o in aree prive di strumentazioni, e quindi un test del sangue potrebbe avere un enorme impatto sulla cura e sugli studi clinici.

Il nostro studio suggerisce che insiemi di specifiche proteine nel sangue possano essere utilizzati per stabilire la presenza di Alzheimer in maniera non invasiva. Ora dobbiamo perfezionare e migliorare la potenza di questo test introducendo nuovi parametri correlati alla malattia, ma i primi dati indicano che l’esame è fattibile e potrebbe sbarcare sul mercato in breve tempo”.

Individuato il marker della malattia

Sullo stesso argomento stanno sperimentando la possibilità di un nuovo test anche gli scienziati della Georgetown University di Washington, coordinati dal dott. Mark Mapstone: un test basato su un’analisi del sangue, in grado di predire la malattia con un margine del 90 per cento su un arco temporale di 3 anni.
Una sperimentazione che coinvolto 525 settantenni per 5 anni, durante i quali è stato fatto un confronto fra i test del sangue di 53 volontari che avevano già sviluppato la malattia e altri 53 coetanei sani. Il test ha evidenziato livelli anomali in 10 grassi nel primo gruppo, risultato che è stato poi incrociato con migliaia di altri, fino ad individuare dei marker affidabili dell’Alzheimer, di cui è stato individuato il meccanismo di formazione. Precedenti ricerche hanno dimostrato che sono più predisposte a contrarre questa malattia, che pare sia favorita anche dall’assunzione di eccessiva carne, soprattutto le donne gelose, nevrotiche e soggette a lunghi periodi di stress, ma anche la depressione potrebbe essere un sintomo da non sottovalutare.

Leggi anche:  Soffrire di insonnia: il problema di un italiano su tre

Una speranza per una diagnosi tempestiva

Un traguardo che, se confermato, ha un significato straordinario per la medicina moderna, che nella maggior parte dei casi non riesce a individuare la malattia in tempi utili per intervenire in modo efficace, a causa della natura stessa dell’Alzheimer. La patologia ha infatti un decorso molto lento, manifestandosi in modo eclatante solo dopo 10 anni, ma rimanendo quasi asintomatica per molto tempo.
Quando ci si accorge della malattia, ormai è tropo tardi ed è già in atto un declino cognitivo irreversibile.

“Se sarà disponibile un test predittivo così affidabile per individuare i pazienti a rischio occorrerà intervenire con ogni strumento che abbia un impatto efficace sulla riserva cognitiva”, commenta Gioacchino Tedeschi, direttore 2a Clinica neurologica della Seconda Università degli Studi di Napoli. “Per riserva cognitiva”, spiega, “si intende la capacità di ritardare gli effetti dell’invecchiamento fisiologico e patologico. I primi studi in questo campo risalgono al ’94: in soggetti anziani sani seguiti per 4 anni sani si evidenziò che il grado di educazione, rispetto a un basso grado di scolarità, era un fattore protettivo rispetto ai deficit di memoria”.