Longevità, dal Dna dei centenari un elisir che protegge il cuore

La durata della nostra vita è scritta nel Dna, ma è anche frutto del nostro stile vita

Qual è la ricetta segreta degli ultracentenari, che nel nostro Paese sono raddoppiati grazie alla dieta mediterranea? A quanto pare la chiave della longevità, traguardo a cui gli italiani aspirano purché non ci si arrivi in solitudine, è un mix di geni e stili di vita. D’altra parte, vivere più a lungo possibile è da sempre uno degli obiettivi più ricercati dalla scienza, che ha di recente scoperto che l’invecchiamento cellulare dipende dai mitocondri. Negli ultimi anni sono spuntati elisir di lunga vita uno dopo l’altro: da Elysum, l’ultimo ritrovato del Mit di Boston, al semplice consiglio di bere molto tè o di consumare peperoncino e paprika in abbondanza, fino a chi punta tutto sui benefici della dieta vegetariana o di quella mediterranea.  Aiuterebbe anche, secondo un recente studio, avere un obiettivo nella vita.

Il ruolo dell’epigenetica

Le ricerche della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) dicono che i geni contribuiscono a determinare la durata della vita, in quanto nei centenari sono stati scoperti numerosi meccanismi molecolari in grado di rimediare i danni al patrimonio genetico e quindi vivere più a lungo; d’altra parte le abitudini e l’alimentazione modulano l’attività del genoma, prolungando l’aspettativa di vita attraverso l’epigenetica, la modificazione dell’espressione dei geni che determinano la longevità. In particolare sembra determinante il ruolo dei batteri dell’intestino, il microbioma. Avere una flora batterica intestinale efficiente fa invecchiare bene. La flora batterica andrebbe nutrita quindi con una dieta corretta.

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La manutenzione degli organi

«La longevità sembra poter derivare da una ‘manutenzione’ particolarmente efficiente dell’attività delle cellule e degli organi, che nel tempo potrebbe contrastare l’inevitabile declino funzionale dell’organismo. – Spiega Giuseppe Paolisso, past presidente SIGG – Alcuni geni sembrano avere un ruolo in tutto ciò ma sappiamo che, ad esempio, una singola mutazione genetica “favorevole” può allungare la vita al massimo del 40%. Oggi appare perciò sempre più evidente che è l’attività del genoma nel suo complesso a influenzare la longevità: l’epigenetica, ovvero la modificazione dell’espressione dei geni nel corso della vita a seconda degli “stimoli” a cui è sottoposto l’organismo, sta assumendo un peso sempre più rilevante fra i meccanismi che incidono sull’aspettativa di vita. Un esempio classico è la restrizione calorica: una riduzione dell’apporto di nutrienti in assenza di malnutrizione si associa a un aumento della durata della vita, anche nei primati e nell’uomo, perché in condizioni di scarse risorse energetiche l’attività dei geni “vira” verso una diminuzione delle attività e un conseguente prolungamento della vita. Tutto questo però significa anche che la longevità si può “costruire”».

I geni e la loro espressione si possono instradare verso la longevità attraverso la dieta e lo stile di vita in generale.

«Gli studi indicano ad esempio che la flora batterica intestinale ha un ruolo nell’invecchiamento: con l’andare degli anni si modifica e la capacità di mantenere batteri “buoni” è strettamente correlata alla possibilità di un invecchiamento di successo – osserva Nicola Ferrara, presidente SIGG – La biodiversità dei batteri intestinali si riduce nella terza età, favorendo la comparsa di infiammazione e squilibri che possono essere l’anticamera di numerose patologie: favorire attraverso una sana alimentazione il mantenimento della biodiversità della flora batterica può aiutare ad aumentare l’aspettativa di vita in buona salute».