VMware, anche lo storage è sempre più definito dal software

Disponibili da pochi giorni, a un mese dall’annuncio, vSAN 6 e Virtual Volumes, le due componenti chiave per realizzare un Software-Defined Storage sempre più performante anche per i carichi di lavoro mission critical

Prende sempre più corpo la vision di VMware volta a proporre e a realizzare un data center che sia sempre più definito via software in tutte le sue componenti. Dal 12 marzo è disponibile ovunque vSphere Virtual Volumes, annunciato nello scorso febbraio assieme a Virtual San 6 (indicato più agilmente in vSAN) e a vSphere 6, la nuova versione della soluzione flagship di casa VMware, che rappresenta, nelle parole della società, “il lancio più importante di vSphere mai compiuto, con uno sforzo notevole di innovazione che ha portato ad avere 650 caratteristiche inedite rispetto alla release precedente”. L’occasione della general availability costituisce lo spunto per una chiacchierata con Luca Zerminiani, Pre-Sales Manager di VMware Italia, sulla portata di questi annunci soprattutto in relazione alla parte storage. Che per VMware significa soprattutto Software-Defined Storage, ovvero uno storage sempre più governato dal software e che si colloca «all’interno della nostra strategia per un Software-Defined Data Center, cioè il cuore della nostra proposizione volta ad aumentare l’efficienza e l’agilità delle aziende, consentendo di guardare al cloud ibrido con occhi nuovi, grazie a una piattaforma che permette di avere un unico punto di gestione». Del resto, il paradigma software-defined offre notevoli vantaggi anche per quanto riguarda lo storage: «Per esempio, si riduce la possibilità di errori e si velocizzano notevolmente le operazioni», sottolinea Zerminiani, facendo anche notare che questo porta anche a risparmi sia nelle spese in conto capitale, in quanto non dovendo più ricorrere all’overprovisioning dello spazio storage si acquisterà meno capacità disco che in passato, sia nelle spese operative, grazie ai minori fermi dovuti alla riduzione degli errori.

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La novità: VMware vSphere Virtual Volumes

E così, la classica offerta di virtualizzazione di VMware che riguarda i server, si vede oggi affiancata da NSX, per la virtualizzazione del networking, e dalle soluzioni vSAN 6 e Virtual Volumes per la virtualizzazione storage. Queste ultime «implementano entrambe la nostra visione del Software-Defined Storage, ma lo fanno in maniera diversa: vSAN 6 utilizza i dischi interni dei server fisici, mentre Virtual Volumes si serve di storage box esterni», spiega Luca Zerminiani. Il risultato è «un ribaltamento di prospettiva: fino a oggi, utilizzare uno storage box esterno significava che l’amministratore doveva effettuarvi tutta una serie di operazioni prima di ‘presentarlo’ all’infrastruttura, mentre adesso basta connettere il box storage ‘grezzo’ all’infrastruttura, che grazie a Virtual Volumes andrà a ritagliarsi il proprio spazio storage, in maniera del tutto analoga a quanto già avviene con le macchine virtuali che si ritagliano la loro CPU», prosegue Zerminiani.

La nuova versione di VMware Virtual SAN 6

Virtual Volumes, che fa parte della piattaforma vSphere, consiste in un set di API che permette di dialogare con i diversi produttori di storage, configurandosi come una soluzione del tutto “vendor agnostic”, come usa dire oggi. La disponibilità di questa nuova soluzione rappresenta, secondo Zerminiani, «il completamento della nostra vision del Software-Defined Storage, di cui siamo stati pionieri quasi tre anni fa, in quanto si affianca a vSAN 6, la nuova versione della soluzione presentata l’anno scorso». In realtà, vSAN 6 sarebbe la versione 2.0, ma ha ricevuto la denominazione “6” per omogeneità con l’intera piattaforma vSphere 6. In ogni caso, le migliorie apportate a un anno di distanza sono di tutto rilievo e permettono di supportare anche le funzioni mission critical. «Quando fu rilasciata, lo scorso anno, vSAN era indicata per tre casi d’uso principali: test e sviluppo, virtualizzazione desktop e infine disaster recovery nelle sedi remote. Questo era dovuto principalmente alla configurazione richiesta nei server, dove dovevano essere presenti i dischi meccanici tradizionali e almeno un disco di tipo flash da utilizzare come cache per velocizzare l’intero sistema», spiega Zerminiani. Oggi, invece, vSAN 6 permette di utilizzare anche sistemi “all flash”: «Unitamente al miglioramento delle funzionalità tipiche di VMware, quali cloning e snapshot, questo consente di ricorrere al Software-Defined Storage di vSAN 6 anche per i carichi di lavoro di tipo mission critical», conclude Luca Zerminiani.

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