L’efficienza economica dei social media

Intelligenza artificiale programmatically crazy

Se i social media sono ormai diventati una leva di marketing essenziale per qualsiasi impresa in qualsiasi settore, diventa indispensabile dotarsi di una mentalità analitica per misurare il loro contributo ai risultati aziendali

Benvenuti nel “villaggio globale” di McLuhan, dove ciascuno di noi conosce “personalmente” chiunque altro e le comunicazioni sono sempre più libere, autonome, indipendenti, orizzontali. Un mondo dove qualsiasi barriera si è appiattita grazie ai social media, e ciascuno dispone di un megafono per (s)parlare di qualsiasi argomento, e di qualsiasi brand. Per questo motivo è indispensabile che ogni impresa faccia sentire chiaramente la propria voce attraverso il social web. Pena per i silenziosi: l’irrilevanza e il discredito. La misurazione dell’efficienza economica di qualsiasi attività di comunicazione aziendale condotta attraverso i canali dei social media richiede un adeguato livello di strutturazione interna, in termini di strumenti di raccolta e analisi, ma non soltanto, anche in termini di competenze e ruoli prestabiliti, e senza dubbio un commitment aziendale con un orizzonte temporale di medio termine, dai 18 ai 36 mesi. Entrambi i requisiti sono, come ovvio, strettamente connessi: soltanto raccogliendo informazioni per un lasso temporale sufficientemente lungo è possibile esprimere valutazioni di merito sull’efficacia di qualsiasi processo attivato sui social media, così come soltanto disponendo di piattaforme e strumenti per l’integrazione e l’elaborazione delle informazioni disperse dentro e fuori il perimetro aziendale è possibile comporre un quadro non semplicistico di correlazioni, statistiche e misure.

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Nuovi modelli

La conversazione con gli stakeholders fluisce spontaneamente attraverso innumerevoli canali che si intersecano, si intrecciano e si ibridano continuamente, dando vita a nuovi modelli che espandono in misura ancora maggiore l’universo dei social media. Dunque, è indispensabile accettare che una certa perdita di controllo rispetto all’immenso rumore che riverbera attraverso il social web sia un destino inevitabile per qualsiasi impresa. Oltre ai social network, occorre considerare le piattaforme per la condivisione di user-generated content, dalle blog platform fino alle media sharing communities, senza dimenticare che una parte sempre più importante delle interazioni avviene attraverso le app, i widget e i servizi per smartphone. Impensabile lanciare iniziative a 360 gradi: una lista non esaustiva dei principali social network attivi ne conta oltre 200, mentre il numero complessivo delle iniziative legate al social web, comprendendo anche gli sviluppi relativi alle applicazioni per mobile, sta traguardando il migliaio. Qualunque impresa che desideri portare avanti una strategia di comunicazione attraverso i canali sociali deve stabilire una priorità di intervento in base al tipo di influenza che intende esercitare e in base allo specifico stakeholder che intende raggiungere: sulla base di simili considerazioni di base è possibile applicare la regola di Pareto, oppure anche soltanto il buon senso, e individuare quel 20% dei social media che sono più rilevanti per raggiungere l’80% del proprio target.

Socialytics

Senza entrare nel merito delle varie piattaforme di analisi esistenti, che presentano un grado più o meno avanzato di specializzazione sul tema dei socialytics, rimane comunque indispensabile una specifica riflessione aziendale su questo tema, dal quale nessuna azienda che intenda investire disciplinatamente può prescindere, così da delineare un framework che garantisca la coerenza di base tra governance, milestones e KPI, ovvero, è indispensabile che il management aziendale si faccia carico dell’elaborazione di un paradigma che metta insieme le varie componenti di attività che formano una strategia sui social media. Non è una responsabilità che possa essere delegata a consulenti esterni, né tantomeno alle piattaforme, che incarnano sempre una certa specifica visione di come debbano essere condotte le attività (non necessariamente la migliore né la più adatta all’impresa). Quanto viene proposto in questo articolo rappresenta soltanto un esempio generale di questo processo di elaborazione, che assume le forme più diverse da azienda ad azienda. Il messaggio di fondo è semplicissimo: se non è possibile individuare con assoluta certezza nessuna best practice, meglio procedere autonomamente in un percorso di apprendimento che può risultare lento e faticoso, ma alla fine porta sempre un risultato.

Il valore dei dati

La tipologia di informazioni di valore sta virando decisamente verso il dato non-strutturato. Basta pensare alle informazioni sempre più dettagliate sui profili individuali (che vanno ben oltre le semplici anagrafiche e comprendono le preferenze e le attitudini) oppure ai dati relazionali che riguardano le affiliazioni e l’appartenenza a gruppi, oppure ancora alle interazioni che intervengono con altri individui del social web, e quindi alle capacità di influenzare i propri vicini opportunamente misurate in termini statistici, ricorrendo alla social network analysis. In tutti i casi, le dimensioni di analisi per chi intenda curare le comunicazioni aziendali attraverso il social web rimangono sostanzialmente quattro: la virality, il sentiment, la reputation, la conversation. Ciascuna a suo modo rappresenta un ambito rispetto al quale stabilire obiettivi più generali per impostare una comunicazione aziendale; obiettivi che vanno dall’ampiezza e dalla profondità di diffusione dei messaggi, alla capacità di cogliere segnali deboli vantaggiosi per lo sviluppo prodotto oppure per il servizio clienti, fino alla capacità di gestire l’influenza attraverso i canali sociali modificando la predisposizione del mercato rispetto al brand aziendale.

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Obiettivi

Come ovvio, la comunicazione attraverso i social media deve dotarsi di obiettivi che vanno oltre una statistica in sé e per sé, altrimenti si incorre in quel rischio, correttamente individuato da Seth Godin, di trasformare un’attività aziendale in una sorta di sterile gioco alla rincorsa del maggior numero di followers, amici, contatti, likes etc., ovvero si rischia di osservare un distacco completo dell’attività dalle milestones aziendali, che restano i tradizionali obiettivi di marketing in azienda: la creazione del cliente e il posizionamento competitivo dell’impresa. Nel caso specifico dei social media, il collegamento tra qualsiasi statistica sociale e la bottom line dell’azienda passa necessariamente attraverso la dimostrazione concreta della capacità di orchestrare un processo che con una gestione coerente dei prospects attraverso i vari touchpoints riesca a coinvolgerlo attivamente nei processi aziendali fino a farlo diventare il primo promotore dell’azienda. Obiettivi senza dubbio sfidanti, ma non irrealizzabili se si dispone dei prerequisiti indispensabili: un prodotto/ servizio eccellenti, una organizzazione brillante.

Come misurare l’efficacia?

Immaginando di costruire un indicatore equiparabile al ROI, ma centrato esclusivamente sui processi di comunicazione e marketing attraverso i social media, è indispensabile individuare le dimensioni di costo e ricavo più strettamente connesse all’attività. Dal punto di vista dei costi, è possibile evidenziare almeno due aree distinte: paid media, ovvero i costi esterni sostenuti per promuovere comunicazioni attraverso canali a pagamento (ovvero i servizi di promozione che i vari social network stanno attivando/ hanno attivato per rispondere alle esigenze del mondo business); owned media, ovvero i costi (idealmente) interni sostenuti per comunicare attraverso canali di proprietà, ovvero le iniziative di comunicazione portate avanti autonomamente dal dipartimento marketing attraverso il blog aziendale e gli account free disponibili…sebbene nel lungo termine non si possa affermare che tali canali siano realmente “owned” ma sono soltanto a zero costi esterni. Dal punto di vista dei ricavi, è ragionevole evidenziare almeno due ambiti distinti: social sales, ovvero la quota parte delle vendite che sia riconducibile a leads sviluppati attraverso i social media (la definizione di un indice di correlazione per l’identificazione di questa “parte” richiede la raccolta delle serie storiche delle vendite e la loro comparazione alle serie storiche delle iniziative sui canali sociali); earned media, ovvero i costi esterni risparmiati per effetto della viralità dei social media e della promozione indipendente portata dalla customer advocacy (convincere un influencer in rete comporta la possibilità di espandere considerevolmente il proprio reach sui canali sociali a costi pressoché nulli).

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Concludendo questa breve riflessione, la definizione di metriche di efficienza economica per valutare le attività sui social media è possibile, e certamente auspicabile. Però, misurare significa mettersi in discussione. Quanti ne hanno il coraggio?

Giancarlo Vercellino, research & consulting manager – IDC Italia