Dall’Australia arriva una scoperta importante per il recupero dell’acqua dei mari, inquinata di mercurio, depurandola grazie alle bucce degli agrumi

Uno studio condotto dal docente di Chimica Sintetica Justin Chalker della Flinders University di Adelaide in collaborazione con il Centre for NanoScale Science and Technology dell’Università di Tulsa, dell’Institute of Molecular Medicine, dell’Università di Lisbona e di quella di Cambridge, ha dimostrato che, a partire dagli scarti dell’industria petrolifera e da quelli degli agrumi, si può purificare l’acqua degli oceani e quella degli acquedotti. Una precedente ricerca inglese aveva scoperto invece come ricavare energia elettrica sempre dal residuo della lavorazione industriale degli agrumi, che diventano quindi una preziosa fonte a cui attingere per produrre energia riutilizzabile.

Economico e non tossico

Si tratta di usare un composto, zolfo-limonene polisolfuro, realizzato con scarti industriali di zolfo e limonene. Il risultato è un polimero non tossico ed è decisamente economico, una semplice combinazione di zolfo industriale e limonene, entrambi facilmente reperibili:.

Gli impianti petroliferi infatti producono oltre 70 milioni di tonnellate di zolfo ogni anno, mentre le industrie che trattano gli agrumi producono più di 70 milioni di tonnellate di limonene, presente nelle bucce d’arancia.

L’azione del composto

Il polimero si incolla al mercurio, impedendone così la diffusione in acqua e suolo. Ecco perché l’idea è quella di usarlo come rivestimento per tubi o filtri idrici, per rimuovere il metallo. Un altro studio americano ha messo a punto un composto vegetale ad hoc, a base di soia, al fine di ripulire i mari dall’inquinamento. Ricordiamo che il mercurio è un metallo tossico presente in grandi quantità nelle acque del mondo, circa 60.000-80.000 le tonnellate di mercurio presenti nell’Oceano a causa delle attività umane. Questi dati impressionanti sono stati resi noti da una ricerca pubblicata su “Nature” della Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI), della Wright State University, del Laboratorio di Geo-scienze ambientali dell’Université Paul-Sabatier a Tolosa e del Royal Netherlands Institute for Sea Research a Den Burg.

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