Francis Fukuyama – Come costruire una nuova democrazia?

Crescita e innovazione. La sfida della politica di trasformare se stessa e creare un mondo nuovo

In settant’anni di Repubblica, l’Italia ha avuto 63 Governi e 66 Festival di Sanremo. E così, non c’è da meravigliarsi se, Diego Piacentini, numero due di Amazon entra in scena come commissario per il digitale e l’innovazione, mentre un italiano su due guarda le canzonette. Dopo i campioni digitali e gli sceriffi della rete, la scelta di puntare sull’innovazione per recuperare il gap competitivo del Paese sembra essere vincente. Più delle canzoni del Festival. Soprattutto perché la lezione arriverà da un’azienda come Amazon, simbolo delle dot.com anni Novanta, che ha dimostrato che si può imparare dai propri errori e costruire qualcosa di grande senza essere ossessionati dai risultati a breve termine, che da sempre – al contrario – condizionano la politica. Gli ultimi dieci anni hanno cambiato la cultura, l’economia, le relazioni, il mondo del lavoro. L’innovazione nasce dal confronto delle idee e dalla collaborazione. A volte è una scintilla, a volte un incendio. L’accelerazione del cambiamento ci ha mostrato il volto non neutrale della tecnologia, che semplifica, sostituisce, potenzia. E trasforma, quasi sempre distruggendo. Alla metà del Novecento, i cavalli furono i primi a essere rimpiazzati nell’economia del trasporto e dell’agricoltura. I computer stanno rimpiazzando le persone, come le auto hanno sostituito i cavalli. Lo sviluppo si accompagna in genere a due fattori, la crescita demografica e l’innovazione. Nel 2050, la popolazione mondiale supererà i 9,2 miliardi di abitanti. Saremo tanti. Troppi per credere che ce la faremo a vivere insieme.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Intanto dopo cinque secoli, il pendolo della storia sta ritornando verso Est. E la corrente della storia cambia direzione. La globalizzazione è un sistema di vasi comunicanti. Ma l’equilibrio del sistema tenderà verso il basso, con il lavoro che non potrà essere per tutti, con l’Occidente che invecchia, e un’innovazione che da un lato ci rende più produttivi, e dall’altro invece di liberarci ci distrae e finisce per assorbire tutto il nostro tempo libero. La complessità ha bisogno di regole, controllo e gerarchie per evitare che si trasformi in caos. In agguato, ci sono nuovi tipi di totalitarismi. L’innovazione è caotica per definizione. Non procede in linea retta, ma è discontinua. E per evitare gli effetti distruttivi deve essere governata. Le politiche per l’innovazione, la cultura aziendale, gli investimenti e un approccio aperto rappresentano gli anticorpi per reagire agli effetti negativi della trasformazione tecnologica. Ecco perché la nomina di Diego Piacentini è una buona notizia, anche se circondata da vecchi ritornelli. Possiamo dire allora che la musica è veramente cambiata? Speriamo che il Governo sappia mettere al centro la “customer experience” degli italiani come Amazon ha saputo mettere al centro la soddisfazione dei suoi clienti. Anche la politica deve trasformarsi, ma occorre sgombrare il campo dalle ambiguità e attivare l’azione combinata di più leve, come bene ha messo in evidenza Francis Fukuyama. Nel suo saggio “Political Order and Political Decay”, il professore della Stanford University dedica un’analisi approfondita all’economia italiana. Il concetto di democrazia è direttamente proporzionale alla libertà di scelta. Ma che cosa succede se le scelte sono condizionate? Si può ancora parlare di democrazia se i bisogni sono ridotti al binomio consumo e produzione? Se la pubblicità prende il posto della propaganda? Se internet appaga il bisogno di partecipazione ma disgrega e ci priva delle differenze, rendendoci tutti uguali? Con quali mattoni si costruisce una democrazia in una società complessa? Forse, dovremmo riflettere sul perché la crisi di legami e di valori ha raggiunto il suo punto più alto proprio nel passaggio dalla società industriale a quella dell’informazione. Trovare un nuovo equilibrio tra individualismo e capacità di stare insieme è la più grande sfida che abbiamo davanti.

Leggi anche:  Gruppo Credem: formazione e innovazione per le sfide del futuro

Data Manager: Come cambia la democrazia?

Francis Fukuyama: Anche la democrazia moderna come lo stato autoritario ha bisogno di gerarchie per funzionare. La differenza sta nel fatto che in una democrazia l’autorità è legittimata dal consenso e ha poteri limitati sulle persone. Le gerarchie democratiche producono inefficienze come quelle autoritarie, ecco perché si è cercato in tutti i modi di decentrare, privatizzare e delegare il potere. Ma non basta una connessione ad alta velocità per trasformare le idee in ricchezza, creare fiducia e relazioni sociali di valore.

Anche per le aziende vale lo stesso discorso?

I grandi colossi dell’industria informatica hanno dovuto fare i conti con molti problemi a causa della loro organizzazione eccessivamente rigida, in alcuni casi soccombendo di fronte a concorrenti più piccoli e agili.  Nel prossimo futuro, le società gerarchiche di grandi dimensioni saranno completamente sostituite da organizzazioni a rete, più estese e informali. La rivoluzione informatica non rappresenta solo un fatto tecnologico. Mobile, big data, cloud, social network sono i pilastri di una forma di organizzazione del tutto nuova in un mondo economico complesso e denso di informazioni.

Come vede la situazione italiana?

L’Italia sta sprecando l’occasione della crisi per innovare il suo sistema di capitale sociale, restando ancorata a logiche feudali di spartizione del potere e di difesa dello status quo. Il vero problema dell’Italia è la crescita e la difficoltà di tenere sotto controllo i conti pubblici. La crescita economica crea le basi sociali del cambiamento. Con una crescita limitata, anche i cambiamenti saranno limitati. E lo scontro sarà inevitabile. Una delle ragioni è da individuarsi nella cattiva abitudine di usare la leva pubblica non per supportare lo sviluppo strutturale, ma per sostenere le clientele su cui si basa il potere politico.

Leggi anche:  Colt completa l'acquisizione di Lumen Emea

È una questione di leadership o di potere?

Non solo di leadership, ma di chi esercita il potere nei centri di comando sul territorio. Non basta il leader illuminato per cambiare sistema. Occorre il consenso. E il consenso si basa sulla fiducia. Il sistema deve cambiare dall’interno con l’aiuto di una classe dirigente selezionata in base al merito e alla competenza. Finché i grandi burocrati di stato avranno il potere di condizionare la politica, la spesa pubblica non sarà mai sotto controllo. L’Italia deve ricostruire il principio di una burocrazia che funziona nell’interesse pubblico. E l’Europa deve riscoprire le radici dell’unità. Il vero punto debole dell’Europa è la combinazione di una moneta unica forte e di una politica di bilancio debole perché non unificata.

Che cosa è il potere?

La capacità di guidare con l’esempio. Il soft power è la vera fonte del potere. Negli Stati Uniti, per generazioni, abbiamo avuto il monopolio del potere politico e militare. L’hard power non si è tradotto direttamente nella capacità di plasmare il mondo. Rappresentare un modello, un’ispirazione per gli altri è la fonte della vera influenza.

L’innovazione crea e l’innovazione distrugge?

La stessa innovazione crea nuove imprese e accresce la produttività, ma può indebolire un business esistente, oppure una comunità o rendere obsoleto un intero sistema vitale. Le società intrappolate nell’avanzata del progresso tecnologico devono costantemente mettersi alla pari, perché le regole si evolvono per soddisfare le mutate condizioni economiche. La macchina produttiva alla base dell’economia industriale faceva spostare le persone dalle campagne alla città e separava i mariti dalle famiglie. L’informatica e le telecomunicazioni avanzate, alla base dell’economia dell’informazione, fanno tornare le persone in campagna e spingono le donne nel mondo del lavoro. Non senza conseguenze sul piano sociale. Nel tempo, le persone possono adeguarsi a tutti questi mutamenti di situazione, ma il ritmo del cambiamento tecnologico può superare quello dell’adattamento sociale. Quando la produzione di capitale sociale non corrisponde alla domanda, le società ne pagano il prezzo.

Leggi anche:  Impresoft acquisisce Develon Digital

L’immigrazione è una minaccia?

L’Europa che chiude le frontiere mette a rischio il suo futuro, più che proteggere la propria identità culturale, che si rafforza nel confronto, nella capacità di fare da guida. Il capitale sociale non può esistere senza le persone. Se per anni abbiamo sentito parlare dei rischi dell’incremento demografico, oggi, le società hanno il problema opposto. Questo fatto basterebbe per affrontare il problema dell’immigrazione non solo dal punto di vista della sicurezza. La globalizzazione per me è un movimento di persone con cittadinanze multiple che contribuiscono a creare un mondo diverso e più ricco.