«La forza di questo album penso risieda nel fatto che richiede tempo per essere ascoltato»

Viene pubblicato oggi, 6 maggio, “Canzoni della cupa”, il nuovo disco del cantautore, poeta e scrittore Vinicio Capossela. Si tratta di un doppio album, su cui Capossela ha lavorato 13 anni, e che arriva a distanza di 5 anni dal precedente disco di inediti.

“Canzoni della cupa” è un disco in due parti, anzi, in due lati: quello esposto al sole dissecca e si asciuga al vento – è il lato della Polvere; quello lunare, dei fantasmi, delle creature della Cupa, del pumminale, del cane mannaro, ma anche delle fughe d’amore – è il lato dell’Ombra. I due cd, insieme, sono espressione di un mondo folclorico, rurale e mitico. Vinicio Capossela ha presentato l’album all’Albergo Diurno Venezia di Milano, un centro sotterraneo di servizi per viaggiatori realizzato negli anni ’20.

Vinicio Capossela - Foto di Valerio Spada
Vinicio Capossela – Foto di Valerio Spada

Data Manager: Ci racconti questo tuo nuovo lavoro?

Vinicio Capossela: Ci troviamo all’interno dell’Albergo Diurno Venezia, luogo di polvere e ombra, sottratto all’uso perché abbandonato, sotterraneo, che sta sotto i nostri piedi affrettati. Qui il tempo si è fermato, e sono felice che il FAI si occupi del suo recupero e della sua valorizzazione. Il lavoro che ho fatto sulle nuove canzoni non è molto diverso da questo posto. Quelli che ho scritto sono brani legati alla civiltà millenaria che portiamo dentro, alla terra. Sono entrato in una tradizione folclorica che sembra famigliare ma che è piena di cose che ci inquietano. In un mondo fintamente rassicurato, della conoscenza tecnologica, del supporto hi tech, avvertiamo se non lontanamente il pericolo, la nudità – che però ci sono.

Leggi anche:  Orticolario 2024: la terra al centro

Hai lavorato per 13 anni a “Canzoni della cupa”: ci spieghi com’è stato questo percorso?

Tutto è iniziato 13 anni fa a Cabras, sul Golfo di Oristano, luogo che ha paesaggi che richiamano certi ambienti western. Anche l’Irpina (di cui sono originari i suoi genitori, nda) ha sempre avuto per me un’idea di frontiera. Ho iniziato questo progetto perché attratto dalla musica folk di Dylan. Ho cercato di raccontare attraverso questi suoni qualcosa che avesse una radice folclorica che conoscevo. Sono partito dall’opera di un cantore come Matteo Salvatore, che cantava di lupi mannari e animali mitici, di storie di lavoro e di vita. Ho ripensato al giacimento di storie che vive a Calitri (il paese da cui proviene il padre di Vinicio, nda), a simposi in cui si mangia, si beve, si cantano sonetti, si ripercorre la storia della comunità. Ho iniziato a scrivere storie in forma di canzone, inizialmente molto scarne. Le canzoni, lasciate a riposare, si sono riprodotte: quelle più autorali si trovano nella parte Ombra.

Vinicio Capossela - Foto di Luca Zizioli
Vinicio Capossela – Foto di Luca Zizioli

C’è stata poi una seconda fase di registrazioni…

Sì, nell’autunno del 2014 abbiamo installato nelle terre dell’osso uno studio mobile dove sono venuti ospiti come Antonio Infantino, Giovanna Marini e molti altri. Abbiamo anche provato a far fiorire un cactus o un’agave, qualcosa di estraneo a questa terra mediterranea, andando a registrare all’estero: siamo arrivati alla frontiera tex-mex e in Arizona, con Flaco Jimenez, i Calexico e i Los Lobos.

Leggi anche:  Tutti i concerti a Villa Erba: un palcoscenico di eccellenza sul Lago di Como

In tutto hai messo insieme 29 canzoni.

Se avessi lasciato decantare ancora questo lavoro, probabilmente si sarebbero riprodotte all’infinito. Questa è un’opera vasta, che ha bisogno di un kit che consenta un accesso al patrimonio che c’è dentro. Per questo la confezione del cd è abbastanza inedita. Non uscirà in plastica, anche perché il disco è fuori misura. Il packaging è come una specie di origami che dischiude il mondo del disco: contiene un indice di luoghi, animali, nomi, perché non ci si perda dentro le canzoni.

Vinicio Capossela - Canzoni della Cupa - Fotografia di Valerio Spada - Artwork di Jacopo Leone
Vinicio Capossela – Canzoni della Cupa – Fotografia di Valerio Spada – Artwork di Jacopo Leone

Oggi la musica ha una fruizione molto veloce, si ‘skippano’ video e canzoni dopo una manciata di istanti, anche se c’è un ritorno del vinile molto spesso le canzoni sono un file ascoltato in streaming. Che riflessione hai fatto quando hai messo insieme le “Canzoni della cupa”, un disco che richiede un ascolto non ‘mordi e fuggi’?

Non ho pensato a queste cose, non c’è skip in questo contesto. Io credo nel disco come opera, non come un insieme di una canzone di traino e qualche altra che ci sta dietro. E’ normale che ci sia un brano più o meno radiofonico, ma io mi occupo di opere in forma di canzoni. La forza di questo album penso risieda proprio nel fatto che richiede tempo per essere ascoltato, per potersi immergere nel suo mondo. Bisogna darsi tempo per far sì che il minuscolo cresca in noi, esattamente come c’è voluto del tempo per realizzare queste canzoni.

Leggi anche:  Ancora un'estate: il film di Catherine Breillat che ha fatto parlare di sé

Come saranno i concerti che partiranno il prossimo 28 giugno?

Sarà un tour con una formazione adatta al repertorio della Polvere, quindi con trombe, chitarre, due cupa cupa (strumenti ancestrali dei paesi mediterranei), un violino, un coro: saremo in 11 sul palco. Ombra sarà il tour autunnale nei teatri: lo faremo con gli strumenti del diavolo, il violino, le corde, e proporrà un repertorio dedicato ai fraintendimenti generati dalle frasche che creano l’ombra.