Siamo pronti ad abbattere le barriere?

matteo veneziani ilva

Se dicessi di aver pianificato la mia carriera mentirei. Eppure, se mi fermo a guardare le scelte compiute fino ad oggi, mi accorgo che esiste una relazione tra i fatti e le decisioni prese, di cui al momento – forse – non ero pienamente consapevole.

E questo è il bello di un lavoro che mi ha portato ad affrontare le sfide dell’innovazione, dell’integrazione e della complessità in settori industriali diversi (da Olivetti a Bianchi, da Lombardini a Expo 2015), riuscendo a portare sempre un punto di vista alternativo nella risoluzione dei problemi. La tecnologia ci ha abituati a essere aperti e flessibili. Non si capisce allora perché i percorsi di carriera dei CIO debbano essere valutati all’interno di rigidi binari, soprattutto in un momento in cui si chiede di abbattere le barriere tra business e IT. E forse, è arrivato il momento di cambiare anche il modo di valutare le competenze.

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In passato, il CIO o un manager con delega all’IT e con riporto diretto al COO o al CFO poteva fare proposte, ma in realtà prendeva ordini inerenti il provisioning tecnologico. Per molto tempo il CIO è stato una figura esclusa dai tavoli decisionali, che forniva un servizio a richiesta, ma non sempre guidava attivamente l’innovazione del business. Alternare consulenza manageriale, esperienze in ambito di business e soprattutto di controllo di gestione permette invece di sviluppare non solo capacità di analisi e competenze strategiche, ma anche di leadership, organizzazione e di relazione, permettendo di confrontare metodi di lavoro diversi e applicazioni tecnologiche differenti.

Del resto, l’errore più grande che un CIO possa fare non è forse quello di fare le stesse cose, così come sono sempre state fatte? Si parla tanto di transformation, ma chiediamo ai CIO di essere più dei guardiani che degli innovatori. Oggi, nessun settore industriale è immune dall’impatto della trasformazione digitale. Tutte le aziende hanno bisogno di intelligenza nella gestione dei dati, massima sicurezza, connettività e visibilità sui sistemi. Innovare significa eliminare i fattori che ostacolano l’efficienza, la flessibilità e la produttività. È lecito chiedersi se i CIO siano effettivamente più conservatori o innovatori, ma è indubbio che gestire l’IT con una logica di business assicuri supporto e valore nell’attuazione della strategia aziendale.

Il CIO non può essere più considerato il tecnico con il cacciavite nel taschino, come forse accade ancora nelle piccole e medie imprese, né il sacerdote custode del sapere (i dati), come accade nelle grandi organizzazioni. Il vero ruolo del CIO, sia nella piccola sia nella grande impresa, sarà sempre più quello di guidare il processo di trasformazione digitale delle aziende, avendo la capacità di fare la sintesi della value proposition delle diverse tecnologie disponibili sul mercato per trovare la soluzione più adatta alle esigenze di business della propria azienda. Diventa importante saper dialogare correttamente con il business (anche e soprattutto per non farsi scavalcare dai vendor) e contestualmente saper cogliere dai vendor i punti salienti delle soluzioni e del knowhow che offrono. Il CIO deve chiedersi quanto costa e se vale la pena mettere dei soldi nello sviluppo di un progetto ancora prima che la domanda arrivi dal CFO.

Il CIO non sarà più il semplice “chief information officer”, ma diventerà anche il capo dell’innovazione, della qualità dei processi e della conoscenza aziendale. Il potere dei CIO è destinato a crescere ancora nelle organizzazioni aziendali con una convergenza con il board aziendale. In alcune organizzazioni, stiamo già vedendo il CIO trasformarsi in un chief digital officer, o in chief knowledge officer. La chiave è che le esigenze aziendali cambiano, e i CIO devono diventare i migliori partner del business per fornire consulenza, implementazione e una guida per il cambiamento.

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Matteo Veneziani, CIO di ILVA