Alzheimer, dalla Cina il primo farmaco a base di un’alga bruna

Ricordi in salvo grazie a una proteina che viene dispersa quando l’Alzheimer progredisce

Una ricerca della University of New South Wales con il gruppo del Neuroscience Research Australia ha identificato una proteina, la p38γ chinasi, dispersa al progredire dell’Alzheimer, che quando viene reintrodotta nel cervello di topi ha dimostrato di avere un effetto protettivo contro i deficit di memoria. Finora si è cercato di arginare l’Alzheimer mettendo in atto scelte di vita preventive, che rallentassero l’incedere della demenza senile e preservassero l’integrità dei neuroni

La perdita dei ricordi

“Questo studio ha completamente cambiato la nostra comprensione di ciò che accade nel cervello durante lo sviluppo della malattia di Alzheimer”, spiega l’autore principale, Lars Ittner. L’Alzheimer si caratterizza per la presenza di placche di proteine (a base di beta-amiloide) e di grovigli (a base di proteine tau) nel cervello, il cui accumulo è associato alla morte di alcune cellule cerebrali e la conseguente la perdita di memoria che ne deriva. Un gruppo di ricercatori australiani di recente ha annunciato di poter mettere a punto entro 2-3 anni un vaccino contro la malattia, per la cui prevenzione è stata anche realizzata una capsula in grado di ripulire il cervello.  

In precedenza gli scienziati ritenevano che le proteine beta-amiloidi causassero una modifica – chiamata fosforilazione – a livello della proteina tau, che portava allo sviluppo della malattia di Alzheimer. L’aumento della fosforilazione della tau si pensava portasse alla sua accumulazione come grovigli.

Un nuovo punto di vista

Il nuovo studio invece porta a pensare che la fosforilazione di tau inizialmente abbia un effetto protettivo sui neuroni e che la beta-amiloide assalga questa funzionalità protettiv, finché non viene progressivamente persa. Studiando il tessuto cerebrale umano, Ittner ha scoperto che p38γ viene persa quando l’Alzheimer progredisce.

“Abbiamo scoperto che p38γ svanisce presto nel cervello delle persone con Alzheimer, facendo mancare la sua protezione”, dice l’esperto. “Parte del nostro studio ha previsto proprio la reintroduzione della p38γ e l’aumento della sua attività – prosegue – Abbiamo visto che nei topi si può evitare il deficit di memoria, quindi la proteina ha un vero e proprio potenziale terapeutico. Se saremo in grado di stimolarne l’attività, potremmo essere capaci di ritardare o addirittura arrestare la progressione della malattia di Alzheimer”.

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