Il caso Xylella. Emergenza e innovazione

Quando un approccio non statistico e non scientifico porta a prendere decisioni sbagliate che diventano pericolose

Il caso Xylella minaccia una delle più grandi “fabbriche” del Mezzogiorno: l’oliveto. In Puglia, ci sono 60 milioni di ulivi, di cui 11 milioni concentrati solo nel Salento. Sei milioni sono gli ulivi cosiddetti monumentali che rappresentano un asset fondamentale del paesaggio salentino. Questa “fabbrica” se non si trasforma, rischia di scomparire a causa di un batterio, ma soprattutto a causa di decisioni sbagliate (e pericolose), non basate sui dati scientifici. Decisioni che rischiano di compromettere la produzione dell’intera ulivicoltura mediterranea.

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Senza dubbio, come spiega a Data Manager, Nicola Ciniero, presidente di IBM Italia, l’agribusiness può essere annoverato tra le aree destinate, in tempi brevi, a raccogliere i frutti di una continua innovazione. E qui, Nicola Ciniero (pugliese DOC) si riferisce a quella in cui i dati, incessantemente prodotti dalle attività umane, fanno da ingredienti e da materia prima per “produrre” conoscenza, grazie alla tecnologia cognitiva messa in campo da Watson e ai nuovi modelli di erogazione dei servizi rappresentati dal cloud. «Le applicazioni di predictive analytics, abbinati all’high performance computing (HPC) e agli studi sulla genomica, d’altronde sono molteplici: si va dall’agricoltura di precisione – che garantisce ritorni certi in termini di abbattimento di sprechi e di maggiore efficienza produttiva – al controllo della filiera alimentare in chiave anticontaminazione». Ma non solo. Basta pensare a quanto può essere fatto contro le infezioni che colpiscono le colture, come ci dimostra il caso drammatico della Xylella pugliese.

«In Florida, questa infezione ha un “parente stretto”, il citrus greening» – spiega Ciniero. «La minaccia portata agli agrumeti locali (un business annuo da tre miliardi di dollari) è seria: il 70% degli alberi risultano ormai colpiti e le proiezioni, in assenza di interventi, stimano un collasso del comparto nel volgere di 2-5 anni. In questo caso, IBM, insieme con l’Amministrazione della Florida e con le aziende maggiormente impattate, ha dato vita a una piattaforma di ricerca che impiega strumenti avanzati di analytics e di cognitive HPC attraverso i quali progettare inibitori genomici della malattia, come i polimeri antimicrobici, e con cui simulare scenari sui risultati. Insomma: almeno all’estero la cosiddetta smarter agricolture è già una solida realtà».

Che cosa è la Xylella?

Il disseccamento degli ulivi in Puglia è causato dal batterio Xylella fastidiosa, subspecie pauca. L’infezione è trasmessa da un vettore del batterio, una specie di cicalina, philaenus spumarius (sputacchina). Le piante muoiono per disidratazione e le piante infette non possono essere risanate, anche se si stanno sperimentando, forme di innesto con piante resistenti. «L’infezione però non intacca la qualità dell’olio e non ha effetti sulla salute umana. Le varietà colpite sono prevalentemente due: l’Ogliarola di Lecce e la Cellina di Nardò. Il Leccino invece è quella più resistente, ma l’inoculo rimane» – spiega a Data Manager, Roberto Bassi, professore di Biochimica e Fisiologia Vegetale del dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona e ospite di BergamoScienza.

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L’insorgenza di questa malattia dell’ulivo, pur mettendo a rischio l’intera ulivicoltura mediterranea (in Italia gli ulivi coltivati sono 200 milioni), non rappresenta un evento del tutto inatteso. Oltreoceano, negli ultimi 30 anni la Xylella è stata l’agente di nuove “emerging diseases” che hanno coinvolto diverse coltivazioni. Ma perché la Xylella in Italia è diventata un caso? Soprattutto perché – risponde Amedeo Santosuosso, presidente del Centro di Ricerca Interdipartimentale ECLT European Centre For Law Science and New Technologies dell’Università di Pavia – c’è stato un cortocircuito tra scienza e giustizia. «Dalla subordinazione all’arbitrio, il rapporto tra scienza e diritto ha sempre oscillato tra questi due estremi. La scienza è fonte di conoscenza della realtà. Una conoscenza misurabile, replicabile e comunicabile razionalmente. Da una parte, il legislatore non può approvare leggi che siano in contrasto con le evidenze scientifiche, dall’altra un parlamento di scienziati non può essere la soluzione. Perché la scienza non ha sempre le risposte, e soprattutto perché la mediazione degli interessi è un ruolo preminentemente politico. Fatte queste premesse, il caso Xylella resta scandaloso e ripropone la stessa “invasione di campo” da parte dei giudici del caso Stamina, portando alla luce in Italia un problema culturale di conoscenza e applicazione del metodo scientifico».

Il contrasto tra giustizia e scienza ha molte facce. Gli scienziati ragionano in un modo. I magistrati in un altro. Gli scienziati formulano ipotesi. I magistrati pretendono di avere risposte certe anche a quesiti impossibili. Negli ultimi tempi, i contrasti sono stati numerosi: il caso di Ilaria Capua, quello di Eluana Englaro, o quello dei geologi per non avere previsto i terremoti. L’Italia, che ha dato i natali a Galileo Galilei, padre del metodo scientifico sperimentale, è finita per coltivare uno strano “fastidio” nei confronti della scienza, preferendo l’arzigogolo alla logica deduttiva. Del resto, statisticamente, siamo un Paese di legulei e non di scienziati. Un Paese, in cui per un ricercatore è più facile ricevere un avviso di garanzia che un finanziamento. Il caso Xylella è la dimostrazione di come «un approccio non statistico ai dati può essere molto pericoloso, perché lascia i decisori in balia dell’emotività», come ha messo in evidenza, Furio Camillo dell’Università di Bologna, a margine della conferenza internazionale Analytics Experience 2016 di SAS.

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Il costo delle scelte sbagliate

Giovanni Martelli, professore di Scienze Agrarie dell’Università di Bari, è stato il primo a ipotizzare, dati alla mano, che il batterio potesse essere alla base del disseccamento rapido degli ulivi nella tarda estate del 2013. Da Gallipoli epicentro dell’epidemia, il fenomeno si è diffuso in tutta la provincia di Lecce, travalicando i confini della provincia di Taranto e di Brindisi, e lambendo quelli della provincia di Bari. Ha colpito sia il “gigante” di Alliste, che ha più di 1500 anni, sia le piante più giovani. Da subito, però, c’era un indizio: la somiglianza tra il disseccamento degli ulivi pugliesi e quello osservato nella quercia americana, causato dallo stesso batterio. E così Giovanni Martelli si è messo a cercare la Xylella, e con i sui colleghi di laboratorio, alla fine l’ha trovata. Gli americani ritengono che il batterio non sia eradicabile se trova le condizioni ambientali favorevoli. Anni di incuria e di pratiche agronomiche scorrette (perché la coltivazione degli ulivi in Puglia è molto frammentata) hanno di fatto contribuito a creare le condizioni ottimali per la diffusione veloce dell’infezione. Italia, Argentina e Brasile hanno lo stesso agente infettante della medesima sottospecie. Bastava questo per dimostrare la correlazione.

L’equivoco è nato dal fatto che l’epidemiologia della Xylella è simile ad altre infezioni osservabili anche su altre 22 piante tipiche, tra cui il mirto e l’oleandro. E l’effetto psicologico del taglio delle piante sane vicine a quelle malate ha contribuito a creare un impatto emotivo forte e una lunga onda mediatica. Il popolo di Internet ne ha fatto una crociata, e l’intervento dei magistrati ha pregiudicato il contenimento dell’infezione. Il CNR di Bari è stato l’unico che ha lavorato seriamente per andare a scoprire le cause del Complesso di disseccamento rapido dell’olivo (CoDiRo). La cosa incredibile è che la Procura di Lecce ha bloccato il piano Silletti (che metteva in pratica il taglio degli ulivi come misura di contenimento), non solo opponendo in modo curioso il principio di precauzione, ma accusando non troppo implicitamente l’ente di ricerca di aver favorito la diffusione della “peste dell’ulivo”, come “gli untori” di manzoniana memoria.

La Procura di Lecce è intervenuta a gamba tesa vedendo il dolo dove non c’era. Il principio di precauzione invocato è stato un triplo salto mortale perché per prevenire si sono bloccate le azioni di prevenzione. Quella degli ulivi pugliesi è una questione tutta italiana (con molte zone d’ombra) e che dovrebbe far riflettere sulla nostra capacità di problem solving e accountability. Non solo i cittadini italiani (tutti) si troveranno a pagare il conto di un’altra procedura di infrazione europea (che ammontano a 72), ma i cittadini pugliesi dovranno affrontare la perdita degli ulivi che significa distruzione del paesaggio. Un danno enorme che rischia di compromettere anche i livelli di produzione di olio di oliva. E purtroppo, potremmo trovarci nello scenario futuro di una Italia senza olio.

La parola fine

Per dirimere l’intricata matassa è intervenuta anche l’Accademia dei Lincei con una missione sul campo che ha prodotto un rapporto definitivo e che ha messo la parola fine alla levata di scudi da parte degli ambientalisti e a ogni ipotesi di complotto. Una conclusione, dicono gli scienziati dei Lincei, non più discutibile. La Xylella, come la globalizzazione, è qui per restare e l’unica cosa che si può fare è studiare misure di contenimento e di controllo della diffusione del vettore di contagio. Il taglio di 68mila piante, che a giugno avrebbe potuto ancora bloccare il fronte di avanzamento dell’infezione con una zona di contenimento, oggi non basta più e rischiamo di perderne 28 milioni. L’epidemia salentina è stata causata da piante importate dall’America Latina e transitate attraverso il porto di Amsterdam. Questo fatto ci porta alla questione dell’efficacia delle norme europee per la prevenzione delle infezioni fitosanitarie che richiederebbe un maggiore investimento per un sistema di monitoraggio automatico basato su sensori e analisi dati in tempo reale. Eppure, dall’Olanda, continuano a essere importate piante dall’America Latina. Con quali nuove misure da parte della UE non è dato sapere. Quello che sappiamo è che è saltato il sistema di controllo. E l’Europa non dispone di un sistema di quarantena come gli USA o l’Australia. Eliminare l’agente patogeno dal Salento è utopia. Il tempo è l’unica cosa che servirebbe, ma ne abbiamo sprecato troppo. Se si studiasse il meccanismo biologico di resistenza della varietà di Leccino, forse si potrebbe ingegnerizzarlo. E forse, come ha suggerito il presidente di IBM Italia, si potrebbe dare vita a una piattaforma di ricerca comune per unire competenze e strumenti. In tutti i casi, la soluzione all’emergenza Xylella, può arrivare solo dalla ricerca scientifica e dalla tecnologia. Non dalle aule di tribunale.

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