DDoS? Non abbiamo ancora visto niente

Akamai prevede un boom di attacchi veicolati soprattutto attraverso dispositivi Internet delle Cose. Il problema è che il costo dei tool online scende sempre di più

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Il 2016 sarà ricordato per aver registrato il primo DDoS lanciato sfruttando principalmente l’Internet delle Cose. L’attacco che il 21 ottobre ha messo in ginocchio i server dell’agenzia statunitense DNY, che gestisce i DNS di tanti clienti, si è basato su telecamere connesse e sensori non protetti, abili ad essere comandati per veicolare il traffico di milioni di device verso le reti della compagnia. Nel suo State of the Internet, Akamai prevede che in futuro minacce del genere possa prendere effettivamente il sopravvento, per mettere in crisi i sistemi di tanti soggetti.

Cosa succede

Nel suo report, Akamai ricorda come il numero di attacchi DDoS superiori ai 100Gbps sia cresciuto da 12 a 19 nel giro di un trimestre, dimostrando come non solo la frequenza ma anche la potenza di tali strumenti non conosca limiti. Il problema, è che con un bel po’ di dispositivi connessi e insicuri, diventa più facile per gli hacker mettere assieme eserciti inconsapevoli, che causano un bel po’ di problemi e grattacapi alle aziende. Cosa fare? “Nessuno degli attacchi visti sinora erano così difficili da mitigare – spiegano da Akamai – il problema è che quando hai dinanzi un DDoS da 623 Gbps allora diviene tutto molto complicato”. Ancora peggio se si considera che il deep web oggi è popolato da negozi e piattaforme che consentono di comprare online dei tool pre-impostati a poche centinaia di dollari, così chiunque può lanciare il suo denial-of-service contro l’avversario. Prevenzione, informazione e risolutezza sono le parole cardini per affrontare seriamente il problema, convinti che può capitare a chiunque da un momento all’altro.

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