David Shing, dall’IoT all’Internet of Emotions

La digital transformation cambia i modelli di business. David Shing, Digital Prophet di AOL: «Ma ci vuole il tocco umano per fare la differenza»

«Siamo quello che proviamo. Dobbiamo passare dall’Internet of Things all’Internet of Emotions». Parola di David Shing, digital prophet di AOL, davanti alla platea internazionale di SAS Analytics Experience 2016. Dietro milioni di dispositivi connessi ci sono le persone con le loro emozioni. E di questo bisogna tenere conto. I modelli di business vanno cambiati, «ma ciò che fa veramente schifo» – ha detto il profeta del marketing – è l’approccio al cliente di molte aziende, perché «le imprese di successo saranno quelle capaci di cambiare veramente il modo di vendere e comunicare».

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Ma che cosa significa “digital prophet”? Etimologicamente, il profeta è colui che parla “davanti” a un pubblico di ascoltatori in nome di un’autorità superiore (come nelle religioni), oppure “prima” nel senso di anticipare il futuro. Non credo che David Shing, alias Shingy, tra i suoi tanti contatti nel mondo del business possa vantare anche quello con il Padreterno in persona, anche se alcuni CEO, non di rado, finiscono per considerarsi padroni della vita e del tempo dei loro dipendenti al pari di un DIO (che – sia chiaro – non sta per digital information officer). Prima dell’evento di Roma, avevo sentito parlare David Shing a Cannes. Titanico, capace di gettare fasci di luce che aprono sentieri nascosti, superando la banalità e l’omologazione dilagante di frasi fatte sull’innovazione e la digital transformation. Del resto, che lui sia “differente”, si vede a prima vista. Sorprende subito con lo stile esteriore che non è un vuoto esercizio, ma logica conseguenza della forza della parola che si mescola alla forma del pensiero. David Shing si spinge sempre in avanti e ti costringe a seguirlo per considerare le cose da un altro punto di vista. Proprio come i Profeti di Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina. Esperto di strategia, visionario con un approccio molto pratico alle cose, David Shing è soprattutto un artista del marketing.

La frase più pericolosa?

«Abbiamo sempre fatto così»! La semplicità è l’antidoto alla complessità. Ma bisogna accettare che ci sono cose complesse che non si possono semplificare, ridurre alla somma delle singole parti. Perché le emozioni che proviamo parlano dei nostri desideri e delle nostre paure. Perché quello che facciamo tra le mura domestiche, con le persone che amiamo e con i nostri device intelligenti, raccontano la nostra storia. Ma per essere veramente creativi, senza rimasticare parole già dette e cose già viste, occorre tempo. Il tempo per creare spazio dove non c’è. Il tempo per cambiare l’ordine delle cose. Per cancellare, mettere sottosopra oppure farsi trovare pronti da un’idea che non riusciva a venire a galla. Il tempo per contemplare la bellezza. E il tempo per allargare il pensiero come un respiro. Tutte “cose” – ha detto Shing – «che restano umane», con buona pace delle macchine, anche quelle dotate della più potente intelligenza.

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“Disruption” è la parola più abusata dell’anno

«Tanto da diventare quasi insopportabile». La digital transformation crea e distrugge. Così alcune aziende spariscono, altre diventano il peggior nemico di se stesse, altre ancora decidono di diventare fornitori di qualcun altro. Per qualcuno anche la democrazia sarebbe in pericolo. Per altri la rivoluzione digitale creerebbe solo disordine politico. Ci sono i “disruption addicted” e i “disruption avoidant”. Eppure, mai nella storia, i consumatori-elettori hanno avuto così tanto potere di scegliere. Non è detto che sia sempre la scelta migliore. I loro desideri e valori – però – guideranno il mercato. Ecco perché occorre fare molta attenzione a cosa vogliamo e a cosa insegniamo.

Conoscere per decidere

«Nel gioco degli scacchi, una buona regola è quella di lasciarsi libere più scelte». Ma decidere significa (anche etimologicamente) tagliare fuori tutte le altre possibilità e andare per una strada soltanto. Il web ha moltiplicato le nostre possibilità di avere accesso alle informazioni, quanto questo abbia inciso sulla conoscenza media del cittadino consumatore-elettore è tutto da vedere. In molti casi, ha prodotto solo delle scorciatoie che rendono più facile fare le cose, ma il processo di apprendimento che porta alla conoscenza critica non è mai comodo, richiede fatica e studio. Rendersi la vita un po’ scomoda è l’unico modo per produrre gli anticorpi all’omologazione.

Vivere in un mondo complesso                      

«In un mondo complesso di sette miliardi e mezzo di persone, le differenze sono un bel problema da gestire anche per la democrazia». Ma anche una incredibile opportunità che forse, sotto l’ansia della crisi che non passa, stiamo sprecando tutti. Aziende comprese. Perché guardarsi negli occhi, dire la verità, stringersi in un abbraccio è la strategia di marketing più “disrupting” che possa esistere. Perché quando le persone capiscono e si capiscono, allora sono veramente “engaged”.

La conoscenza è alla base delle scelte

«La conoscenza è il nuovo luogo della competizione tra imprese, governi e individui». E può essere un campo di battaglia o la nuova frontiera per ripensare regole e modelli di sviluppo. Ma attenzione, anche i sogni digitali possono diventare incubi. E chi vince piglia tutto. Quindi meglio imparare il modo di collaborare e di co-creare. Abbiamo imparato che troppa informazione equivale a nessuna informazione. Allo stesso modo, la moltiplicazione delle possibilità invece di amplificare la libertà crea confusione. Così abbiamo bisogno di valori in grado di orientare le scelte perché da queste dipenderà il futuro di un mondo che non può essere aperto solo allo scambio di merci e capitali ma deve sapere accogliere le persone.

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Niente è facile come sembra

«Bisogna fare lo sforzo di scavare sotto la superficie». Ogni soluzione genera nuovi problemi. Gli analytics mostreranno quello che vogliono veramente i clienti perché saranno i loro desideri a guidare il mercato. I piccoli segnali possono generare ondate imprevedibili. Il battito delle ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Del resto, anche il caos è uno schema e se qualcosa può andare storto, lo farà quasi sempre nel momento peggiore possibile.

Il prodotto è la relazione

«Le aziende devono essere pronte anche a correre dei rischi all’interno del loro processo classico di produzione dei contenuti». Il contenuto è deciso dal contesto e creato dalla esperienza diretta degli utenti. Ha a che fare con la vita di tutti i giorni, con le emozioni, con i momenti importanti. Le aziende devono coltivare questa relazione in modo che le persone vogliano trascorrere più tempo con i loro brand. Gli utenti diventano in questo modo parte attiva del processo e non più semplici utilizzatori del prodotto. Il brand deve diventare esperienza e gli utenti devono essere coinvolti attivamente. Oggi, il contenuto non è più circoscritto, supera e sopravanza il prodotto, lo anticipa e lo interpreta. Il contenuto deve diventare adeguato al «con-testo», adattarsi alle situazioni, rispecchiare la vita delle persone. Biologico e logico, razionale e irrazionale. Rompere le barriere significa andare al cuore delle cose. Semplicità, emozione, partecipazione. Il 75 per cento degli acquisti sono guidati dalle nostre emozioni. «Il potere si sta trasferendo da coloro che vendono a coloro che acquistano».

Il conto da pagare

Se la nuova società tecnologica non rifonda anche un sistema di valori in grado di reggere il peso della trasformazione digitale, se non puntiamo sulla cultura, se non includiamo, se non diminuiamo le differenze, se non aiutiamo le persone a raggiungere i loro obiettivi, se i processi oltre a essere più efficienti non saranno anche più trasparenti, dovremo pagare un conto altissimo in termini di sicurezza e mancanza di libertà, perché «la trasformazione può travolgere tutto», anche la democrazia come la conosciamo oggi.

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The human touch

Le piattaforme social e mobile hanno portato le persone a sviluppare una preferenza sempre maggiore per un approccio “self service” di interazione con i brand. Il passo successivo sarà l’esperienza d’uso guidata da realtà virtuale, realtà aumentata e chatbot. L’intelligenza artificiale diventerà uno strumento essenziale nel processo di produzione, ma anche di relazione con i clienti. Quando chiameremo un numero e dall’altra parte non sapremo più distinguere se a risponderci è una macchina o una persona, la transizione sarà completata. Il cognitive computing permetterà di selezionarle in modo automatico la produzione di annunci su misura per l’interesse e le esigenze di ogni cliente. «Ma ci vuole il tocco umano per trasformare tutto questo in un’esperienza di valore. La vera sfida è trovare l’interazione giusta e l’equilibrio corretto».

La semplicità è l’ultimo livello di sofisticazione

«Siamo un impasto di natura e cultura». Siamo parte del testo della storia e del suo contesto, attori e consumatori, lettori ed elettori. La tecnologia ce la portiamo addosso, dentro di noi, mostra le nostre paure e fa vedere le nostre emozioni. «La tecnologia però può cambiare solo le nostre abitudini, non i bisogni».