Le autorità coreane ritengono che non ci siano prove sufficienti per l’arresto di Lee Jae-yong, vicepresidente di Samsung

Samsung può tirare un sospiro di sollievo. Il vicepresidente e nipote del suo fondatore, Lee Jae-yong, non andrà in prigione. “Non c’è rischio di fuga e non deve essere fisicamente imprigionato”, ha stabilito la Corte centrale di Seul chiamata a decidere sull’arresto o meno del top manager dell’azienda coreana. Lee è accusato di appropriazione indebita e falsa testimonianza per il suo coinvolgimento nello scandalo che ha portato all’impeachment del Presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye. La corte ha ritenuto che le prove fossero insufficienti e lo ha quindi rilasciato dopo 14 ore di detenzione preventiva.

Lee Jae-yong è accusato di aver pagato una tangente da oltre 30 milioni di dollari alle fondazioni della consigliera della presidente Park, Choi Soon-sil, per avere il sostegno del governo nella sua scalata ai vertici di Samsung. Lee si è difeso affermando di essere stato costretto a fare queste donazioni ma non si aspettava nessun favoritismo. Il rampollo del colosso dell’elettronica ha fatto riferimento a una “realtà coreana” in cui grandi gruppi come LG, Hunday e Samsung, conosciuti come “chaebol”, non possono fare a meno di accettare le richieste del governo.

Risolta la questione dell’arresto di Lee, l’azienda deve affrontare problemi anche in Italia. Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Vicenza ha eseguito 26 perquisizioni in altrettanti punti vendita delle grandi catene di distribuzione dell’elettronica. Le forze dell’ordine hanno provveduto al sequestro di documenti e prodotti come smartphone e tablet per un valore totale di circa 60 milioni di euro. L’operazione è nata dall’indagine su una presunta violazione di brevetti di un’azienda italiana (Edico S.r.l) da parte di Samsung, che ha già annunciato che collaborerà con le autorità per chiarire la vicenda.

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