Informatica quantica a prova di hacker? Non proprio

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I ricercatori dell’Università di Ottawa hanno creato una macchina che può intercettare messaggi “sicuri” inviati tra computer quantici

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Se c’è un vantaggio nell’utilizzo di computer quantistici, questo riguarda la possibilità di assicurare totalmente le informazioni tra essi scambiate, con un rischio praticamente nullo di intercettazione da parte di terzi. Il motivo, rispetto all’informatica classica, è che se su quest’ultima si può copiare e incollare l’informazione tra sistemi diversi, la comunicazione tra fotoni vieta una pratica del genere, perché ciò che viene conservato su un fotone, se spostato, diventa oggetto di deterioramento, la stessa conseguenza a cui per anni i tecnici sono andati incontro quando cercavano di realizzare una macchina quantistica che potesse trasferire, volutamente, i dati da un qubit a un altro. Una teoria del genere dovrebbe bastare per rendere il panorama della cybersecurity più roseo dell’attuale, eppure non è così.

Cosa succede

I ricercatori dell’Università di Ottawa affermano infatti di aver sviluppato uno strumento che può intercettare messaggi quantistici, senza il rischio di perderne il contenuto. In che modo? Il problema, secondo il professore di fisica Ebrahim Karimi che ha guidato lo studio, risiede nella quantità di “rumore” che si crea all’interno della comunicazione tra fotoni. Più dati vengono conservati in uno stesso qubit, meno spazio c’è a disposizione per interferenze e dunque l’hacking può risultare più semplice da individuare. Viceversa, la presenza di maggiore interferenza, in uno spazio ridotto occupato dall’informazione, può essere sfruttata per copiare esattamente il singolo fotone, senza riscontrare perdita del contenuto. La soluzione? Monitorare più da vicino le reti meno condensate, dove il rischio di violazione potrebbe diventare reale, mettendole al sicuro da sguardi indiscreti.

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