Alzheimer, scoperta la molecola che ringiovanisce il cervello

La nuova tecnica consente di identificare “l’impronta digitale” di proteine e biomarcatori consentendo la diagnosi

Si tratta di un innovativo metodo messo a punto da un team di ricercatori italiani dell’Istituto di fisica applicata (Ifac-Cnr), in collaborazione con l’Istituto di microelettronica e microsistemi (Imm-Cnr) e con il Dipartimento di chimica e scienze geologiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

L’impronta digitale di Alzheimer e Parkinson viene individuata quando ancora sono presenti tracce minime, consentendo quindi un’azione preventiva. Di recente si è scoperto che una dieta ricca di uva sarebbe la nuova arma segreta contro il il declino metabolico di aree del cervello correlate all’Azlheimer e anche il bilinguismo protegge dagli effetti della malattia

Un sistema innovativo

I cristalli d’argento hanno una forma di cubo e dimensioni dell’ordine del nanometro. ”L’attivazione tramite laser consente di identificare molecole precursori della malattia presenti nei fluidi biologici (sangue, urina, fluido cerebrospinale)”, spiega Paolo Matteini, autore principale della ricerca.

“L’irraggiamento laser – prosegue l’esperto – ‘accende’ infatti i nanocristalli, producendo un intenso campo elettrico che amplifica di circa un milione di volte il segnale delle molecole aderenti alla superficie dei nanocubi stessi. Il segnale così rivelato fornisce informazioni uniche su composizione e struttura della biomolecola, che viene riconosciuta anche in minime tracce”.

Mediante un microscopio elettronico a scansione, aggiunge Giuseppe Nicotra, ricercatore dell’Imm-Cnr,  “è stato possibile analizzare la struttura cristallina dei vertici del nanocubo, rivelandone una disposizione ‘a gradini’, che intercetta efficacemente le biomolecole in soluzione”.

“La metodica consente di sviluppare test diagnostici per il riconoscimento precoce di biomarcatori di patologie neurodegenerative”, sottolinea Roberto Pini, direttore dell’Ifac-Cnr. “La strada è però ancora lunga – aggiunge -. Sarà infatti necessaria un’accurata fase di test preliminari per classificare la complessità dell’impronta ottica dei vari biomarcatori, prima che questa tecnica risulti affidabile per l’uso clinico”.

Finora si è cercato di arginare l’Alzheimer mettendo in atto scelte di vita preventive, che rallentassero l’incedere della demenza senile e preservassero l’integrità dei neuroni.

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