Il robot cercalavoro e il lavoro che arriva nonostante lui

Se cercate “Robert Coombs” con qualunque motore di ricerca inciampate nella torbida vicenda di un ferocissimo tredicenne che nel 1895 ha assassinato la madre trafiggendola ripetutamente con un coltello. La storia somiglia a quelle che quotidianamente affollano la cronaca, ma il Coombs di cui stiamo per occuparci ha soltanto deciso di adoperare le più taglienti soluzioni informatiche per trovare lavoro.

E’ risaputo che uno dei punti di forza nella ricerca di una occupazione è il contatto diretto con le aziende delle quali si riesce ad intravedere qualche prospettiva allineata ai nostri interessi professionali. In poche parole si tratta di sbaragliare la concorrenza. Lo si deve fare anzitutto in termini di competenze che si è in grado di offrire, ma è fondamentale anche non farsi superare in fatto di tempestività. Un ritardo può letteralmente fare la differenza e rivelarsi addirittura letale.

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La consapevolezza del doversi sbrigare è stata una delle molle che ha animato Robert Coombs, ideatore del velocissimo “robot” in grado di inviare migliaia di curricula e relative lettere di presentazione.

Nessun androide, state tranquilli, ma un abile incrocio di hardware e software: Coombs non ha un passato da ingegnere o informatico, ma la sua passione per l’automazione gli è bastata per assemblare una “macchina di Rube Goldberg” corredata da alcuni fogli di calcolo e da una manciata di script.

La sua fantasiosa invenzione è la materializzazione della sua voglia di rimettersi in gioco nel campo lavorativo. Il suo obiettivo era battere gli algoritmi di selezione dei nostri CV che leggono tutte le candidature e poi provvedono ad effettuare le dovute scremature.

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Il software dei cacciatori di teste e delle società di selezione del personale filtra automaticamente i candidati in base a parole chiave, competenze, precedenti datori di lavoro, anni di esperienza, scuole frequentate e così via.

Il “robot” del giovane Robert ha ribaltato la tendenza, aggregando le informazioni di contatto dei vari responsabili HR e personalizzando il messaggio di invio alle varie aziende.

In termini pratici la soluzione automatizzata ha modificato di volta in volta l’oggetto dell’email e le versioni del curriculum, avendo cura di ottimizzare e regolare la maggior parte delle variabili, proprio come farebbe un individuo alle prese con una più tradizionale ricerca del lavoro.

Nel tempo necessario a gustare un caffè lo strumento è stato capace di inoltrare circa 1300 domande, ma non tutte le ciambelle escono con il buco.

Purtroppo il primo tentativo non è andato a segno. Il robot ha inconsapevolmente impostato come destinazione della massiccia spedizione elettronica il Midwest, anziché New York City che era la città in cui Coombs viveva e voleva rimanere.

Nonostante l’approssimazione geografica – comunque rettificabile – il giovane Robert non si è perso d’animo e si è dedicato ad una serie di progressivi miglioramenti. La sua versione 5.0, ad esempio, ha ridotto l’invio delle domande di lavoro mantenendosi sotto il tetto massimo di 538 in un arco temporale di tre mesi.

Chi si aspetta una versione 6.0 non perda tempo in una inutile attesa. Robert nel frattempo ha trovato lavoro e per di più in maniera convenzionale. Se non lo licenzieranno (e noi gli auguriamo ogni successo) il suo robot resterà lì a testimoniare la determinazione a non arrendersi mai.

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Non sarà stata efficace per il suo collocamento, ma tutto sommato la sua “creatura” è la testimonianza che un “bot” può anche essere utilizzato “contromano”. Di solito si pensa al ricorso a simili tecniche per far convergere più risorse su un’unica destinazione (magari per dar fastidio ad uno specifico bersaglio) e invece, in questo caso, si è vista una sola base di “lancio” e una infinità di destinazioni (e soprattutto per una finalità …ammissibile)!