I tre pilastri di Capgemini: strategia, performance, innovazione

La digitalizzazione dell’economia è un treno in piena corsa, su cui tutti i player del mercato devono salire. Ma per fare questo è necessario individuare un partner che sia in grado di comprendere i bisogni delle aziende e identificare la strategia più appropriata per affrontare con successo le sfide del cambiamento tecnologico

A cinquant’anni dal suo esordio in quello che allora era il nascente mercato della consulenza gestionale e del trattamento dell’informazione (come recitava l’acronimo originario di “Sogeti”, tuttora una delle società del gruppo), il provider globale di servizi di consulenza, informatica e outsourcing Capgemini è oggi uno dei maggiori interpreti del potere trasformativo della tecnologia digitale nelle imprese di ogni settore. Serge Kampf, il fondatore scomparso nel 2016, ha saputo infondere al suo gruppo una cultura aziendale “glocal”, rispettosa delle specificità locali e allo stesso tempo in grado di offrire competenze e best practice globali; una struttura organizzativa solida e resiliente protagonista di una storia di espansione organica e di acquisizioni che ha pochi precedenti, persino in un settore animato da clamorosi annunci di fusione. Il successo di Capgemini non si evince solo dai numeri – 190mila dipendenti attivi in oltre 40 nazioni; 3.300 collaboratori in Italia; un fatturato di 12,5 miliardi di euro nel 2016 (con un margine operativo che ha registrato un invidiabile +10,6%) – ma dalla capacità di affiancare i clienti nel loro cammino a lungo termine verso un business di nuova generazione, in uno spirito di prossimità e progettualità intimamente legata ai processi.

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Per Andrea Falleniamministratore delegato di Capgemini Italia, gli ottimi risultati ottenuti in questi ultimi anni sul mercato italiano in tanti progetti di digitalizzazione sono merito di una lunga esperienza maturata a livello di Gruppo e della profonda conoscenza dei mercati verticali. «La nostra capacità di eseguire progetti in modo tradizionale è la nostra forza. Ma nel mondo dei servizi l’offerta sta cambiando, la trasformazione è diventata una sfida anche per noi». Una sfida che Capgemini sta dominando anche in virtù di un’attenzione all’innovazione che parte dal basso e dalle startup tecnologiche, che da quest’anno sono chiamate a partecipare a InnovatorsRace50. La gara è stata bandita in occasione del cinquantesimo anniversario del Gruppo, che non dimentica di “essere partito come startup”, e mira a selezionare le cinque migliori idee in altrettante categorie – GovTech & Social Enterprises, FinTech & Mobility, Consumers & Well-being, Digital Processes & Transformation, Data & Security – per sostenere il loro sviluppo anche grazie all’affiancamento da parte degli esperti della piattaforma Applied Innovation Exchange, il marketplace che agisce da interfaccia tra gli innovatori e le imprese di tutto il mondo.

Raffaella Poggio Marketing & Communication director – Eraldo Federici head of Large accounts and Telco & Media sector, COO Capgemini Eastern Europe – Agnès Lefort-Germond chief financial officer

ESSERE LEADER NELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE

Secondo Andrea Falleni, alla base del posizionamento di Capgemini come «leader indiscusso nella trasformazione digitale», c’è un mix fatto di competenze in ogni aspetto dell’innovazione – tecnologica e di processo – con un approccio di vera partnership con i clienti, un ingrediente che consente di comprenderne i bisogni reali, per poterli assistere in modo continuativo nei processi di cambiamento e innovazione. Processi che – secondo Falleni – «sono alla base della capacità delle imprese di generare valore e performance superiori rispetto ai propri competitor e che, dunque, devono essere implementati con un approccio di lungo periodo». Si tratta di una “cultura del cambiamento” che poggia, per Capgemini, su una capacità di esprimere eccellenza in un ampio range di competenze, dal settore bancario-assicurativo ai beni di consumo, dall’Industry 4.0 alle telecomunicazioni. Questa ricchezza di competenze rappresenta «un valore fondamentale per una trasformazione che è soprattutto “contaminazione” tra modalità diverse, un punto che distingue nettamente Capgemini da altri provider» – afferma Falleni. «Il pieno dominio dei processi di business interni al cliente ci aiuta a capire dove bisogna innovare. In questo senso, Capgemini non è solo un partner tecnologico, ma un abilitatore della cultura del cambiamento». Ci sono poi gli aspetti della solidità e della continuità, una garanzia in più per il cliente che affronta progetti di ampio respiro anche sul piano temporale. «La trasformazione può anche partire da progetti specifici come la revisione della propria piattaforma di ERP; ma questo tipo di interventi è davvero in grado di generare valore se inserito in un obiettivo strategico, che deve puntare – seguendo questo esempio – alla riscrittura di tutta la customer experience. Questo tipo di interventi può accompagnare le aziende durante tutta la loro vita». L’organizzazione di Capgemini, articolata attraverso quattro aree di intervento – Finance, Pubblica amministrazione, Telecomunicazioni e Media, Beni di consumo e Industria manifatturiera – è concepita per rispondere ai nuovi fabbisogni di specializzazione verticale, ma anche di pensiero laterale. La centralizzazione delle strategie generali non esclude l’autonomia delle diverse filiali e i continui scambi dovuti alla presenza globale, che agevolano la scalabilità dei progetti e sono un tratto distintivo per i clienti di Capgemini. «Siamo Capgemini Italia, ma al tempo stesso siamo il gruppo globale il cui primo valore aggiunto consiste nella capacità di adattare al mercato locale le pratiche che hanno avuto successo in altre geografie» – sottolinea Falleni.

INNOVARE E’ NECESSARIO PER COMPETERE. A PRESCINDERE DALLE DIMENSIONI

La necessità di innovare il business e i processi non è tuttavia una priorità per le sole aziende di grandi dimensioni, ma coinvolge anche i clienti di dimensioni medio-piccole, vera anima dell’Italia imprenditoriale. «In molti casi, le imprese di piccole e medie dimensioni rappresentano anche l’anima più innovativa del Paese» – risponde Falleni. «Sia che si tratti di un’azienda leader o di una realtà molto più piccola, non ci sono differenze. Il nostro obiettivo – e il nostro valore aggiunto – è la capacità di misurarci sull’innovazione di tutti. Certo, il mondo delle PMI viene curato da team dedicati, che impiegano metodologie specifiche, ma le competenze sono le stesse». Del resto, ricorda Falleni, la tecnologia estende le opportunità di accesso, consentendo ai piccoli di competere con i grandi. «La differenza semmai sta nella capacità di sbagliare, un lusso che la grande azienda strutturata può permettersi più delle piccole, meno dotate di risorse e competenze professionali. In compenso, se sei grande e vuoi trasformarti, devi vincere l’inerzia che i piccoli non hanno. Un fattore ci accumuna tutti: il tempo. Le finestre di trasformazione, ancor più dal punto di vista organizzativo di processo che tecnologico, rischiano di chiudersi in fretta. La competizione oggi può arrivare da ogni direzione». Sono questi, conclude Falleni, i temi su cui riflettere e su cui Capgemini può far valere le proprie caratteristiche distintive.

SICUREZZA PER TUTTI

Il tema della protezione dei dati è connaturato a quello della trasformazione al punto da indurre Capgemini a definire una Top Line Initiative che eroga servizi di cybersecurity trasversali a tutti i mercati. Questo, spiega Domenico Leone, head of Public sector, consente al grande system integrator di operare in modo sinergico, avvalendosi delle capacità e delle competenze dell’intero gruppo. «In Capgemini, sono 3.000 le persone dedicate alla cybersecurity e disponiamo di sette Security Operation Centers che controllano la sicurezza dei nostri clienti». Quattro di questi centri sono in Europa, dove la linea di offerta è in grande crescita. Nell’azienda digitale, la protezione del dato, la gestione della mobilità del lavoro e delle relazioni, l’obbligo normativo della tutela del patrimonio intellettuale dell’azienda e della privacy del cliente (due degli obiettivi della General Data Protection Regulation che entrerà in vigore nel 2017) sono tutti aspetti che cambiano radicalmente l’approccio alla sicurezza, che secondo Leone «deve toccare ambiti organizzativi, tecnologici e di processo con il supporto di una società capace di combinare esperienze e best practice sia in ambito consulenziale sia a livello tecnologico». L’offerta di Capgemini copre la consulenza e i servizi di assessment, quelli a supporto della protezione dei sistemi informativi, insieme al monitoraggio e al cosiddetto Threat Hunting, avvalendosi nei diversi casi di soluzioni best-of-breed di partner come Trend Micro, Fortinet, o RSA. La necessità di strutturarsi per difendersi meglio dagli attacchi riguarda anche il settore di cui Domenico Leone è responsabile, la pubblica amministrazione. «Il documento AgID sulle misure minime di sicurezza ICT da applicare alla PA, insieme ad altre recenti decisioni, indica una maggiore volontà di prevenire e contrastare le cyber minacce che riguardano le infrastrutture nazionali, e quelle critiche in particolare».

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Paolo Pozzi Practice Solutions director – Laura Muratore head of Manufacturing, Retail & Distribution sector – Giuseppe Camia head of Practices

Dalle parole di Leone emerge la questione del primato che i dati stanno assumendo in tutti i settori dell’economia digitale, a partire dall’ambito finanziario, come sottolinea Monia Ferrariresponsabile dell’offerta rivolta all’industria bancaria. «Le aziende sono sommerse di dati. Mai come oggi, il business può contare su tante informazioni su cui ragionare. Ma solo quando riesci a tradurre i dati in insights, questo patrimonio può diventare un driver fondamentale nell’indirizzare le strategie di business». L’area dei “business insights” guida la trasformazione digitale di tutti i maggiori clienti Capgemini del settore. «Tra i nostri clienti abbiamo sette tra le prime dieci banche mondiali. Importanti progetti riguardano le maggiori banche del nostro Paese. Progetti che si muovono essenzialmente su tre assi» – spiega Monia Ferrari. Innanzitutto, «la customer experience, grazie all’analisi dei dati sul comportamento del cliente attraverso la sovrabbondanza di canali di relazione con la banca, con l’obiettivo di assecondare e anticipare i bisogni del cliente finale. Ma gli analytics, magari supportati da strumenti di intelligenza artificiale» – continua Ferrari – «sono fondamentali anche per ottimizzare l’operatività della banca e per innovare e valorizzare i business model in un contesto di elevata competitività. Capgemini dispone di 13mila professionisti che ogni giorno lavorano nell’ambito degli insights & data». In particolare sul banking, è attivo un centro di competenza globale con più di 4mila consulenti. Solo in Italia, il team si avvale della competenza di più di cinquanta specialisti. Una capacità di offerta che ha portato Capgemini nel Quadrante Magico di Gartner per i Business Analytics Services, anche grazie alle partnership con tutti i leader tecnologici in campo Big Data, da Informatica a SAS, da Qlik a SAP, e molti altri.

IL PRIMATO DEL DATO

Il predominio del dato e del suo valore economico non esaurisce la lista di fattori propedeutici al business digitale. Come ci insegna il fenomeno dell’Internet of Things (IoT), il cambiamento investe anche la fisicità di materiali e prodotti. La tecnologia dei sensori, ricorda Raffaele Guerraa capo dei servizi finanziari per il settore Insurance, permette di trasformare qualunque oggetto «in una sorgente di dati digitali», e così facendo, agisce in modo dirompente sui tradizionali confini tra prodotto e servizio e tra settore e settore, erodendoli fino a farli sparire. «L’IoT ha un impatto molto significativo in ambito assicurativo, nelle strategie di gestione e riduzione del rischio» – spiega Guerra. Nell’edizione 2016 del World Insurance Report, l’osservatorio annuale di monitoraggio dell’industria assicurativa guidato congiuntamente da Capgemini e EFMA (l’organizzazione che riunisce oltre 3.300 banche e assicurazioni di 130 nazioni intorno ai temi del marketing finanziario), si afferma che gli ecosistemi interconnessi, le tecnologie embedded e l’autonomia decisionale di macchine sempre più intelligenti sono i tre elementi della profonda trasformazione del settore. «La nuova logica consiste nell’aiutare a prevenire il rischio legato a prodotti che, in virtù del digitale, somigliano sempre più a servizi». L’esempio principale, prosegue Guerra, è una delle applicazioni di maggior successo nel panorama italiano dell’IoT: le scatole nere che gli automobilisti installano a bordo delle loro vetture per usufruire di determinati contratti assicurativi. «Oggi, paghiamo le nostre polizze in funzione di parametri semplici, l’età, l’area di residenza» – continua Guerra. «I sensori ci permettono di valutare il rischio in base ai chilometri percorsi, ma anche al tipo di strada utilizzata, allo stile di guida, ecc… L’analisi di queste informazioni cambia radicalmente i modelli di business degli assicuratori». Si tratta di un passaggio fondamentale, avverte Guerra, che richiede competenze nuove, soprattutto in materia di data intelligence, e alleanze con partner come Capgemini, che – ricorda Guerra – «è in grado di proporsi come revisore dei processi interni, fornitore di tecnologie IoT innovative, per esempio quelle offerte da OctoTelematics, e come outsourcer di servizi integrati».

ECONOMIA DELL’ESPERIENZA E NUOVE RELAZIONI CON IL BRAND: IL VALORE DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Innovazione dei processi e valorizzazione del dato rappresentano le fondamenta di un altro ambito di intervento strategico per la capacità competitiva delle imprese: l’esperienza del cliente finale e la sua relazione diretta e indiretta con il brand. «Le nuove tecnologie stanno cambiando radicalmente i canali distributivi delle aziende, plasmando nuove modalità di accesso a prodotti e servizi e rivoluzionando, in ultima istanza, i comportamenti dei clienti. La nuova dimensione dell’esperienza d’acquisto determina a sua volta un forte cambiamento nella percezione del brand, aumentando le aspettative dei consumatori nei confronti dell’azienda e in particolar modo rispetto alla capacità di intercettare e soddisfare le loro esigenze». A spiegarlo è Eraldo Federici che in Capgemini, oltre a essere a capo del mercato Telco & Media e Large Account per l’Italia, è COO per l’area Eastern Europe. «C’è un altro aspetto imprescindibile che le aziende devono tenere in considerazione: l’impatto della digitalizzazione sui tradizionali modelli di accesso ai processi di acquisto è tale che l’azienda che oggi decide di adottare un approccio customer oriented, curando il rapporto con il cliente come un vero e proprio viaggio esperienziale, acquista un vantaggio competitivo notevole sul mercato; al contrario, l’azienda incapace di intercettare queste nuove modalità di relazionarsi con il brand perderà inevitabilmente quota a tutto vantaggio di chi ha intuito per tempo le nuove necessità. Siamo immersi, insomma, nell’economia dell’esperienza e di essa dobbiamo tener conto». Affidare un ruolo strategico alla Digital Customer Experience oggi è, dunque, necessario per rimanere competitivi e consiste nel saper creare in modo consapevole una relazione virtuosa tra cliente e brand. «La customer experience è sempre una combinazione complessa di più fattori» – spiega Federici.  «Parliamo di percezioni, stati d’animo, emozioni, reazioni, che il cliente registra mentre interagisce con il brand attraverso una molteplicità di canali d’acquisto. La relazione deve quindi essere reciproca, deve trasformarsi continuamente, non può basarsi su un semplice progetto di system integration. Un circolo virtuoso, sollecito e anticipatore, che – come avrebbe detto Gregory Bateson, uno dei padri dei moderni studi sulle interazioni – determina un rapporto molto stretto tra relazione ed esperienza in cui la relazione precede e condiziona l’esperienza».

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Roberto Zanatta Sales director – Monia Ferrari head of Financial Services, Banking sector – Raffaele Guerra head of Financial Services, Insurance sector

In questo quadro Capgemini, continua Federici, propone ai propri clienti una visione olistica basata su tre pilastri. Il primo consiste nella piena percezione dei percorsi attesi del cliente, il customer journey, che lo tiene per mano dal primo contatto assoluto con l’azienda fino all’eventuale decisione di acquisto di un bene o servizio, attraverso uno studio accurato dei suoi comportamenti e della sua percezione del brand che realizziamo con piattaforme software specifiche di riferimento. «Sulla base di questa analisi, viene creato in seguito il progetto della compelling engagement experience, secondo pilastro, ossia un’esperienza convincente nell’intero spettro di relazione, con il pieno dominio delle caratteristiche proprie dei diversi canali coinvolti. Il terzo pilastro della nostra offerta è il continuos improvement, per un’esperienza senza soluzione di continuità di accesso al bene/servizio attraverso i canali tecnologici. Con opportuni KPI, misuriamo quindi l’efficacia delle soluzioni implementate, aumentandola o modulandola». Questo approccio è stato alla base di numerosi progetti di grande successo, realizzati per clienti appartenenti a diversi settori. Uno degli interventi più rilevanti è senza dubbio rappresentato dall’interfaccia multicanale sviluppata per ABN AMRO per ridisegnare completamente l’esperienza del cliente finale; nel campo della distribuzione retail è stata invece realizzata la completa revisione delle modalità di interazione della catena francese di elettronica di consumo Boulanger che, grazie agli esperti del “retail lab” ospitato nella sede di Lille in Francia (l’Applied Innovation Lab), si avvale della realtà virtuale per consentire agli acquirenti di “toccare con mano” un grande catalogo di elettrodomestici che non sono fisicamente presenti nei limitati spazi espositivi di negozi di prestigio, collocandoli non più in centri commerciali periferici ma sulla strada principale nel cuore della città. Come si traduce concretamente tutto questo in termini di competenze? Ce lo spiega ancora Federici: «Grazie a una serie strategica di acquisizioni e di partnership, Capgemini è in grado di mettere in campo asset ed acceleratori tali da permetterci di progettare e di implementare le migliori soluzioni in maniera rapida ed efficiente, anche nell’ambito della Digital Customer Experience: vantiamo centri di innovazione sparsi per tutto il mondo (AIE, Applied Innovation Exchange) e società come Backelite e Fahrenheit 212 che sono leader indiscussi nel design e nell’ideazione della customer journey e che Capgemini ha recentemente acquisito; abbiamo, inoltre, stretto collaborazioni ad hoc con società di prodotto per definire soluzioni veloci da implementare con la maggiore efficacia (Salesforce, Pega e Adobe sul piano content experience and marketing solution, Microsoft e SAP Hybris su quello del digital commerce). In questo modo, siamo costantemente al passo con le principali innovazioni che impattano sulla customer experience».

LA FABBRICA SAPIENTE

L’innovazione abbraccia diversi ambiti settoriali, con una complessità di declinazione dell’offerta che richiede numerose specializzazioni. Un mercato molto composito è quello di Laura Muratoreresponsabile dell’area Manufacturing, Retail & Distribution: «Una market unit che in valore rappresenta il 27% di Capgemini e dove il tema della trasformazione digitale è sempre più centrale, anche se va interpretato in modo differente». Una delle Top Line Initiatives è il digital manufacturing, l’Industry 4.0, su cui l’azienda catalizza notevoli risorse: a livello globale 20mila persone, in Italia 400 solo sul manifatturiero, dall’edilizia al discrete manufacturing, dal “metal” al settore automotive. «In Italia, offriamo un framework di servizi di tipo consulenziale e implementativo su tutti gli anelli della catena del valore, dallo sviluppo, design e prototipizzazione fino all’innovazione di prodotto, dal nucleo centrale delle operations nel cuore della fabbrica fino alla supply chain, i canali di vendita, i marketing analytics». Nel digital manufacturing, sottolinea Laura Muratore, le tecnologie come la stampa 3D, il machine-to-machine e il cloud, per citarne alcuni, sono solo fattori abilitanti. «È grazie alle nostre profonde conoscenze dei processi che riusciamo a integrare le tecnologie abilitanti, declinandole in soluzioni architetturali che si armonizzano in maniera efficace con i sistemi esistenti, indirizzando gli obiettivi del cliente. Con una filosofia di approccio che punta sempre alla risoluzione delle oggettive complessità da affrontare, cercando di rendere evidente il punto di partenza ottimale e le successive tappe del viaggio di trasformazione». Uno dei progetti recenti più rilevanti citati da Laura Muratore è quello relativo a un importante produttore di strumentazione biomedicale. Collaborando con Microsoft, infatti, Capgemini ha sviluppato una piattaforma di digitalizzazione “field service”, con una gestione integrata dalla vendita degli apparati alle strutture sanitarie pubbliche e private, fino alla manutenzione e la gestione della supply chain dei ricambi.  «Per un altro importante cliente nel settore metallurgico, stiamo portando avanti un piano di predictive maintenance in chiave Big Data. I costi annui di manutenzione per questo cliente ammontano a 40 milioni di euro: solo partendo da informazioni già disponibili, si arriverebbe a un margine di risparmio tra il 15 e il 20 per cento».

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Domenico Leone head of Public sector – Annalucia Di Pasquale Business Risk, Delivery and Quality director – Domenico Cipollone account executive Automotive

Una spinta ulteriore verso questo tipo di applicazioni, conclude Laura Muratore, verrà dai nuovi accordi di partnership tra Capgemini e General Electric per l’erogazione di una nuova generazione di servizi orientati al digital manufacturing basati su Predix, la piattaforma cloud di General Electric: «Un vero e proprio sistema operativo per le applicazioni della fabbrica digitale». Uno degli ambienti industriali in via di maggiore trasformazione è quello Automotive, interviene Domenico Cipolloneaccount executive Automotive1 per alcuni dei clienti top di Capgemini del settore. «Non è solo l’auto, e più in generale il veicolo, a essere stato impattato dall’avvento del digitale» – spiega Cipollone. «Gli OEM2 dovranno infatti sempre più prestare attenzione a nuove linee di business e a nuovi competitor, da Google ad Apple, che fino a ieri non avevano niente a che fare con il mondo Automotive. L’impatto del digitale, e dei suoi dispositivi dell’Internet delle cose (IoT), amplia notevolmente il numero dei servizi a disposizione di tutti. Gli utilizzatori oggi non sono più interessati solo al veicolo in sé (o al mezzo industriale, o agricolo), ma anche, e in alcuni casi soprattutto, ai servizi digitali che lo accompagnano. I veicoli del domani saranno quindi anche molto diversi rispetto a quelli di oggi e gli OEM si troveranno sempre più nelle condizioni di non disporre di tutte le risorse e le competenze necessarie per fronteggiare le sfide dell’era digitale. E questo proprio in un settore, quello dell’Automotive, e soprattutto nella sua parte Auto, che gode di buona salute, tanto che si stima che nel 2030 il parco Auto raddoppierà rispetto ad oggi.

Ecco perché il settore Automotive rappresenta uno dei comparti più importanti per Capgemini, che ha dedicato ai propri clienti 5.000 esperti nel mondo. L’offerta di servizi Capgemini per i clienti Automotive si articola in diverse aree, tutte all’insegna della connettività: dal connected customer alla connected car, fino all’analisi combinata dei dati generati dai veicoli e dal comportamento degli acquirenti e guidatori (connected insight) e a un nuovo modo di concepire la progettazione e la fabbricazione, grazie anche all’uso di tecnologie come la realtà aumentata (connected operations). Capgemini propone un nuovo modo di concepire il mercato dell’auto, molto più orientato all’esperienza dell’utente finale e alla possibilità di costruire relazioni commerciali più solide e durature, facendo leva sui dati che alimentano nuovi processi e servizi, e aumentando il livello di soddisfazione. Non manca, conclude Cipollone, un’offerta specifica per la cybersecurity dell’auto, un argomento che nel caso dei veicoli connessi e a guida autonoma è quanto mai all’ordine del giorno.

AL CUORE DELLE COMPETENZE: I TALENTI

La capacità di mettere al servizio del cliente questo invidiabile patrimonio di competenze poggia su una politica di gestione del capitale umano ispirata agli stessi criteri di rigore e innovazione che Capgemini mette nei suoi progetti. La parola conclusiva della nostra storia spetta a Giuseppe Camia, head of Practices, che interviene sul tema del primo fattore di successo del gruppo: il talento dei suoi collaboratori. «Considerando le normali percentuali di turnover e la crescita sul mercato, ogni anno Capgemini assorbe settecento nuovi talenti, attraverso meccanismi di scouting che privilegiano i giovani neolaureati, affiancati da quote di “collateral” più esperti, che aiutano ad accelerare le iniziative riguardanti settori specifici» – precisa Camia. In Capgemini il giovane talento trova un’organizzazione HR che oltre a curarne la selezione provvede alla valutazione, alla valorizzazione delle competenze, nonché ai percorsi di ulteriore affinamento di skill e carriera. «Le hard skills – prosegue Camia – vengono indirizzate a seconda dei modelli formativi necessari a preparare consulenti che operano in specifici mercati con diversi modelli di offerta. Alcuni dovranno lavorare su aspetti più funzionali e di processo e altri ancora dovranno acquisire competenze più tecniche. Un importante volume di training si focalizza inoltre sulle soft skills, le tecniche di relazione con il cliente e la gestione di progetti complessi». Una spinta motivazionale ulteriore, osserva Camia, è sicuramente dovuta al fatto di operare all’interno di un gruppo internazionale, che offre continue opportunità di scambio di competenze, di culture e di relazioni internazionali. È grazie a questi talenti che Capgemini è stata capace di crescere anche in anni difficili, portando ai suoi clienti un formidabile contributo di pragmatica innovazione.

Foto di Gabriele Sandrini


1 Automotive include anche il business relativo ai Capital Goods quali Truck, Bus, Construction Equipment e Agricultural Machine

2 OEM = Original Equipment Manufacturer, termine che indica i produttori di apparecchiature che vengono installate sul prodotto finito, ma utilizzato per estensione anche per indicare le case madri che commercializzano il prodotto finito (auto, camion, ecc.) da loro marchiato