Addio alla depressione con un’app combinata a una terapia cognitiva-comportamentale

I ricercatori del Mount Sinai Hospital di New York hanno messo a punto un’app che potrebbe rappresentare una nuova frontiera terapeutica per chi soffre di depressione, che negli ultimi 10 anni è aumentata del 20%: mostrando ai pazienti volti di persone di cui dovevano riconoscere le emozioni e facendo ricordare il numero di volte in cui quella stessa emozione era già stata incontrata precedentemente, gli studiosi sono arrivati a ridurre del 42% i sintomi del disturbo depressivo, grazie a una rinormalizzazione dell’attività in diverse aree del cervello.

Processi cold e hot

“Esistono due tipi di processi cognitivi coinvolti nella depressione: quelli cold e quelli hot. I primi riguardano l’attenzione, le funzioni esecutive e la memoria e in questi non interviene l’emotività – spiega il medico psichiatra Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli- Sacco di Milano – I processi hot sono invece influenzati dalle emozioni: in questi casi aumenta la percezione delle cose negative e la persona ha più attenzione verso espressioni facciali di tristezza”.

I ricercatori hanno notato una risposta esagerata dell’amigdala ai volti che mostrano emozioni negative e una riduzione della risposta nella corteccia prefrontale dorsolaterale, fondamentale per il controllo e la regolazione degli stimoli avversi. A questo punto entra in gioco l’applicazione sviluppata, per mostrare le facce di individui di cui i pazienti dovevano riconoscere le emozioni e arrivare a una rinormalizzazione nelle persone depresse della capacità di osservare e individuare anche gli stati d’animo positivi negli altri.

Imparare a riconoscere le emozioni positive

“La terapia cognitiva – comportamentale tende a contrastare questa disarmonizzazione che si verifica nei processi cognitivi hot – prosegue Mencacci – Di fronte a una percezione di sole informazioni negative si cerca di costruire un metaforico muro fatto anche di stimoli positivi che possono aiutare a contrastare gli altri”.

Grazie a questo tipo di terapia si riesce si riequilibrano le aree cerebrali, con un aumento del controllo della corteccia prefrontale e una diminuzione dell’attività dell’amigdala. Tuttavia a volte questo percorso non è sufficiente e bisogna comunque ricorrere a terapie farmacologiche.

“Nelle forme di depressione sottosoglia e lievi le psicoterapie cognitive hanno una funzione equivalente a trattamenti medici, mentre nelle forme medie e gravi non sono sufficienti – conclude Mencacci – Anche gli antidepressivi agiscono sui processi cognitivi hot, portando a un aumento degli stimoli positivi e a una diminuzione di quelli i negativi. Lo fanno però con dei meccanismi down-top, cioè attraverso la regolazione dei circuiti neurotrasmettitoriali”. 

Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità diffonde dati preoccupanti relativi all’aumento di casi nel mondo di depressione, tanto che la malattia sarà nel 2020 al secondo posto tra le cause di invalidità. Il cosiddetto “male oscuro”, che secondo alcuni studi avrebbe ereditato dai geni dell’uomo di Neanderthal, è diventata oggi la malattia più temuta da un italiano su tre.

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