Fondazione Golinelli, come prepararsi a un futuro imprevedibile

La creatività per riscattare la tecnica. Andrea Zanotti: «L’integrazione tra arte e scienza come matrice della conoscenza»

Dall’Industria 4.0 alla bioinformatica fino ai big data. Dopo il lancio della nuova scuola di dottorato in Data Science and Computation, attivata in collaborazione con l’Università di Bologna, e a due anni dalla nascita dell’Opificio, la Fondazione Golinelli ci ha aperto le porte del nuovo Centro Arti e Scienze, progettato dallo studio di architetti fondato da Mario Cucinella. L’Opificio Golinelli getta così le fondamenta di un ecosistema per lo sviluppo integrato della formazione, della ricerca e dell’impresa, destinato a crescere ancora per diventare una vero polo della conoscenza. Il primo passo di questo percorso – come ci spiega Andrea Zanotti, docente al dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna e presidente della Fondazione – è rappresentato proprio dal Centro Arti e Scienze Golinelli, uno spazio di «immaginazione e sperimentazione» – pensato per offrire una sintesi fra arte e scienza. Lo sguardo profetico dell’arte da una parte e lo sguardo fattuale della scienza e dei dati dall’altro per creare una sintesi nuova. «L’idea di futuro che abbiamo in mente – afferma Andrea Zanotti – è quella in cui non ci sarà più posto per una frammentazione tra la parte ideativa, quella sperimentale e quella produttiva: i luoghi della conoscenza, della sperimentazione e della produzione dovranno necessariamente integrarsi per poter far fronte alla velocità del cambiamento nella quale siamo immersi».

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Ad aprire i battenti del Centro Arte e Scienza, la mostra dal titolo che sarebbe piaciuto molto a Karl Popper: “Imprevedibile”, come il futuro che non possiamo prevedere ma solo immaginare. La mostra in programma dal 13 ottobre 2017 al 4 febbraio 2018, nasce da un’idea di Marino Golinelli, padre della Fondazione, che con questa iniziativa ha deciso di lasciare un’eredità ulteriore: quella del sogno di uno straordinario 97enne per aiutare i giovani a crescere, mantenendo vivo «lo sguardo ottimistico, fiducioso e proattivo verso un mondo migliore, verso un futuro imprevedibile ma possibile, abbracciandolo con responsabilità e con una visione etica, democratica e inclusiva verso tutti». Se il futuro è imprevedibile, è anche aperto, spalancato su un orizzonte di nuove possibilità e rischi insospettati. Il futuro arriva e sopravanza la storia, la società civile e la politica. Il futuro crea più di quanto non distrugge, con buona pace degli apocalittici, degli scettici e di chi ha sempre un pregiudizio contro le cose nuove, per comodità o paura di cambiare. Ma di fronte alle sfide del futuro non dobbiamo dimenticare di fare i conti con la sostenibilità. Guardare al passato serve solo per prendere la rincorsa per fare un salto in avanti: «Chi non innova corre il rischio non solo di rinunciare al futuro, ma di perdere anche il proprio passato».

Data Manager: Tutti parlano di nuovo Rinascimento. È una bella parola. Ma come è possibile far coincidere questa idea con un progetto concreto?

Andrea Zanotti: Parlare di nuovo Rinascimento non significa tornare indietro. La rivoluzione digitale è un fatto storico che non ha precedenti. La frammentazione del sapere ha delle ragioni specifiche. La conoscenza ha progredito grazie alla specializzazione che ha dato origine alla velocità della tecnica e alla sua preminenza. Occorre trovare un senso di marcia comune, recuperando la capacità di immaginazione che è la grande matrice sia dell’arte sia della scienza. Se per Rinascimento intendiamo non solo un periodo storico, ma anche un modello di sviluppo, dobbiamo ricominciare dal “disegno” delle “cose” – nel senso tecnico di design – per mettere insieme cervello e cuore, razionalità e passione, intelletto e sapere manuale.

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Qual è il modello della Fondazione?

La Fondazione ha svolto per molto tempo una funzione di sussidiarietà, parola molto di moda, almeno quanto innovazione. Abbiamo voluto colmare dei vuoti. Abbiamo portato nelle scuole del territorio il sapere scientifico della biologia molecolare e della genetica. Oggi, ci siamo resi conto che l’esigenza è di aprire strade completamente nuove, in un momento in cui la velocità dei fenomeni sopravanza la nostra capacità di comprensione, mettendo in crisi il sistema della formazione tradizionale.

Che cosa è Opus 2065?

Opus 2065 è un progetto che mira a costruire un ecosistema, partendo dall’idea che le persone non possono più sostenere la velocità della trasformazione digitale. Dobbiamo creare un modello alternativo perché  quello dell’Università che pensa, dell’Industria che produce, e dello Stato che si occupa del welfare non funziona più. Tutto deve nascere insieme e deve essere “disegnato” per lavorare insieme. La Fondazione Golinelli vuole fare di Opus 2065 un punto di coagulo di questa visione. Non c’è più spazio per la divisione tra teoria e pratica. Occorre mettersi subito al lavoro e imparare facendo. La nostra immaginazione deve essere nutrita di arte e di scienza.

Come si guarda al futuro in modo concreto?

La nuova scuola di dottorato in Data Science and Computation dimostra l’impegno della Fondazione a guardare al futuro partendo dai giovani. Da una parte il tema della data science fa emergere il fatto che stiamo costruendo un mondo parallelo a quello fisico, fatto di moltissime informazioni che facciamo fatica non solo a gestire e conservare ma anche a comprendere. Dall’altro estrapolare conoscenza da grandi moli di dati è una necessità per trovare soluzioni per governare grandi fenomeni. Creare un presidio in questo campo, con una scuola di dottorato, significa gettare le basi per preparare i giovani ad affrontare meglio il futuro.

La visione è importante, ma anche la politica deve fare le scelte giuste. A che punto siamo?

Siamo di fronte a una svolta. Il Sistema Paese lo ha compreso. E anche la politica. Ci troviamo davanti a una dinamica di civiltà che mette fuori gioco e rende obsoleti tutti i vecchi schemi di provenienza. L’innovazione tecnologica accelera l’impresa. Il tradizionale transito del trasferimento tecnologico è superato. Oggi, le grandi imprese ci dicono che il tempo di sviluppo di un prodotto, in tutte le sue fasi, non può superare i nove mesi. Questo apre delle lacune dentro il sistema, a prescindere dalle colpe. Naturalmente, ci sono le responsabilità legate agli investimenti non fatti e che hanno determinato molti ritardi. Fare l’elenco delle colpe non serve. Forse, è più utile costruire qualcosa di alternativo per recuperare il tempo perduto.

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Perché la creatività è la risorsa in grado di riscattare la tecnica?

Perché la tecnica non è narrativa. La tecnica non ti dice che cosa devi fare, ma ti apre un orizzonte di possibilità di utilizzo. La tecnica è un calcio d’inizio. Non è uno schema di gioco. Il procedere della tecnica se non è accompagnato da un pensiero creativo, in grado di indirizzarla, è un procedere cieco e senza senso. È solo cronologia. Quel guizzo laterale è importante anche per guardare dentro la mole di numeri che ci sovrasta. Le novità sono sempre marcate da una discontinuità frutto della creatività soggettiva. Se ci appiattiamo a pensare lo sviluppo come una semplice proiezione statistica, temo che non ci sarà alcun futuro di cui parlare.

Che cosa pensa delle startup in Italia? Ci sono troppi incubatori?

La moltiplicazione dei campi dove seminare è sicuramente positiva. Detto questo, dopo la semina, bisogna prendersi cura delle “piantine” e farle crescere per portarle a maturazione e avere un buon raccolto. Il problema è la qualità dei progetti e degli investimenti. Il fenomeno startup nasce da un’Accademia che si sente sotto tiro e che ha bisogno di dimostrare di essere produttiva e di essere in grado di produrre dei risultati. Gli enti pubblici sono preoccupati di dare sostengo all’occupazione. Manca in Italia un vero sistema di venture capital. Che poi è la ragione per cui una startup in Italia non fallisce mai o è destinata a restare tale per sempre. Ed è un errore grave. Perché occorre fallire di più, e più in fretta, per puntare sulle startup vincenti. La politica qui è stata troppo indulgente. E invece, occorre fare scelte più rigorose.

Parlando di imprevedibilità, qual è il suo pensiero intorno a uno dei temi caldi del momento: l’intelligenza artificiale?

Un tema di confine che porta con sé molte opportunità e qualche rischio, su cui occorre fare una riflessione seria. Certamente, il fatto che due macchine si parlino con un linguaggio autogenerato, che esclude l’operatore, fa parte dell’imprevedibilità di cui dobbiamo farci carico. E dobbiamo essere capaci di immaginare e “disegnare” un mondo dove siano le macchine ad adattarsi al nostro modo di pensare e dialogare. Non al contrario, come abbiamo fatto fino a questo momento.

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