Uno studio scopre come intercettare da subito le cellule più aggressive, responsabili delle ricadute

Si può evitare il rischio di ricadute nella leucemia linfoblastica acuta? A questo scopo hanno lavorato i ricercatori del Centro di ricerca Matilde Tettamanti, alla Clinica pediatrica dell’Università Milano Bicocca, Ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con l’Università americana di Stanford.

«Nel nostro studio – commenta Jolanda Sarno, primo autore, insieme a Zinaida Good, del lavoro appena pubblicato su Nature Medicine – abbiamo confrontato le cellule leucemiche della leucemia linfoblastica acuta di tipo B con la loro controparte sana, individuando i profili di entrambe. Poi abbiamo analizzato questi profili mettendoli a confronto con quelli di pazienti ricaduti e non ricaduti. Abbiamo così scoperto quali sono le caratteristiche delle cellule leucemiche che più facilmente le rendono capaci di far riemergere la malattia, nonostante i trattamenti». 

Il confronto tra cellule

Gli studiosi si sono avvalsi di una tecnologia innovativa, la citometria di massa, che consente l’analisi di decine di parametri biologici e funzionali di ogni singola cellula e di un sistema di apprendimento automatico per il confronto fra cellule. 

Questa ricerca apre la strada alla possibilità di prevedere il rischio di ricaduta e poter quindi individuare con anticipo la terapia più adatta per scongiurarlo da subito. Attualmente invece bisogna aspettare le risposte alle cure e la verifica molecolare della cosiddetta “malattia residua minima”, per valutare l’eventuale possibilità di ricaduta. 

Una malattia rara

La leucemia linfoblastica acuta è un tumore del sangue relativamente raro, ma è il più frequente in età pediatrica: rappresenta l’80 per cento di tutte le leucemie e circa il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati fra zero e 14 anni. L’incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni e poi diminuisce con l’età. 

Una nuova speranza arriva da un trattamento sperimentale effettuato per la prima volta nel nostro Paese presso l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, una terapia genica che ha potenziato il sistema immunitario di un bimbo di 5 anni affetto da leucemia, consentendogli di eliminare le cellule tumorali.

La clinica pediatrica di Monza rappresenta un punto di riferimento per il trattamento di questa malattia. Andrea Biondi, direttore e anche direttore scientifico della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua mamma, spiega: «Sin dalla fine degli anni Novanta, grazie al contributo di Airc e del Comitato Maria Letizia Verga la clinica ha coordinato per l’Italia, all’interno di un network europeo, la standardizzazione e l’applicazione della tecnica di misurazione della malattia residua minima in tutti i bambini e adolescenti con leucemia linfoblastica acuta di tipo B dei Centri dell’Associazione italiana ematologia e oncologia pediatrica. Questo studio si colloca quindi all’interno di una storia e di una esperienza di ricerca ormai decennale».

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