Cresce l’uso di farmaci utilizzati impropriamente per potenziare l’attenzione o migliorare le performance lavorative

Sono il 14%, secondo in sondaggio, le persone che in 15 nazioni nel mondo hanno dichiarato di aver utilizzato “droghe intelligenti” almeno una volta nei 12 mesi precedenti nel 2017, rispetto al 5% del 2015, con una crescita del 9% in due anni. In Europa si registrano picchi di crescita: 13% in Francia e il 18% in Gran Bretagna.

Boom soprattutto negli Stati Uniti

L’allarme è stato lanciato da uno studio pubblicato sull’International Journal of Drug Policy che ha analizzato l’uso di sostanze di solito prescritte nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e i farmaci studiati per curare i disturbi del sonno, ma anche stimolanti illegali come la cocaina.
Il più elevato tasso di utilizzo si è verificato nel 2017 negli Stati Uniti: quasi il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver usato smart drug almeno una volta nei precedenti 12 mesi, rispetto al 20% del 2015. Gli aumenti maggiori si sono però riscontrati in Europa: dal 2015 al 2017 l’uso in Francia è salito dal 3% al 16%, nel Regno Unito dal 5% al 23%, in Olanda dal 10% al 24%, in Irlanda dal 4% al 18%. Quasi la metà (48%) delle persone ha dichiarato di avere avuto questi farmaci attraverso gli amici. Il 10% li ha acquistati da un rivenditore o su internet, il 6% li ha ottenuti da un membro della famiglia e il 4% ha dichiarato di avere le proprie ricette.

Preoccupazioni etiche

“I partecipanti alla Global Drug Survey sono più propensi della popolazione generale a essere interessati all’uso di droghe, il che potrebbe influenzare i risultati”, puntualizza Larissa Maier, psicologa dell’Università della California, San Francisco, che ha condotto lo studio. Percentuali simili di uso non medico di droghe intelligenti sono però osservate anche negli studi sulla popolazione generale e questo “suggerisce che i risultati dell’indagine sono robusti”.

“C’è un crescente uso legato agli stili di vita di farmaci che potenziano le capacità cognitive da parte di persone sane e questo solleva preoccupazioni etiche”, spiega Barbara Sahakian, neuroscienziata dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito.

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