Diversi software di sicurezza gratuiti raccolgono informazioni sensibili da inviare allo sviluppatore. La scoperta di 9to5Mac
Di norma, quando si scaricano applicazioni di sicurezza si pensa che queste servano a proteggerci da hacker e occhi indiscreti e non il contrario. E invece, come ha scoperto il sito 9to5Mac, diversi software per Mac, una volta ottenuto l’accesso privilegiato al sistema, finivano con il prelevare informazioni sensibili sugli utenti inviandole poi ai server degli sviluppatori. Tra queste, Dr. Unarchiver, Dr. Cleaner, Adware Medic, Adware Doctor e molte altre; ree di avere un po’ troppo a cuore i dati delle persone, tanto da farli propri e gestirli a loro insaputa.
Tutti i programmi elencati funzionavano allo stesso modo: prima chiedevano l’accesso alla directory home di macOS, con la scusa di dover effettuare una scansione antivirus e lo svuotamento della cache, poi abusavano dei superpoteri per raccogliere i dati della cronologia dei browser, da Chrome a Firefox, fino a Safari, spedendo le analisi alle case di sviluppo.
Cosa succede
Fornire alle app l’accesso alla directory vuol dire aprire la porta a contenuti molto sensibili: oltre ai dati di navigazione pure le conversazioni di iMessage e le email, elementi che da soli bastano ad affermare che possa esservi una violazione pesante della privacy, seppur in via teorica. Tecnicamente, è anche normale che i software antivirus possano leggere aree protette del sistema, altrimenti non ci sarebbe protezione adeguata, ma scoprire che l’opportunità si trasforma in una raccolta illecita è davvero avvilente.
Tra gli esempi, i dati copiati da Dr. Unarchiver includevano i movimenti del browser ma anche file separati con dentro le ricerche via Google e una lista completa delle app installate sul telefonino. Il numero di potenziali vittime è altissimo: prima di essere scoperta, Dr. Unarchiver era la dodicesima app gratuita più popolare sul Mac Store americano. Il che ci ricorda che se non stai pagando per un prodotto, quasi certamente il prodotto sei tu.
