Nonostante il boom dello streaming la pirateria musicale non si ferma

La pirateria non è di certo morta: più di un terzo di chi ascolta musica online la scarica illegalmente e lo fa tramite il ripping dei video da piattaforme come YouTube

Oggi milioni di utenti in tutto il mondo utilizzano piattaforme di streaming musicale per accedere ai brani che preferiscono. Solo Spotify conta oltre 70 milioni di clienti paganti, senza contare le rivali come Apple Music, Tidal o Deezer. Nonostante il boom di questi servizi, la pirateria non si è assolutamente fermata e anzi più di un terzo di chi ascolta canzoni in formato digitale lo fa utilizzando metodi illegali. Stando all’ultimo rapporto della International Federation of the Phonographic Industry, i pirati rappresentano il 38% del totale. L’analisi conferma inoltre che l’86% dei fruitori di brani in Rete sceglie servizi di streaming audio e video (In Italia sono il 53%) e che in media si ascoltano 17,8 ore di musica. Nel nostro Paese sono inoltre moltissimi a collegarsi alla “vecchia” radio (90%).

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Il metodo più comune per ottenere musica gratuita violando però il diritto d’autore è il cosiddetto “stream-ripping” (32%), una tecnica che prevede l’utilizzo di particolari software disponibili liberamente in rete per estrarre le tracce audio da piattaforme di video sharing come YouTube. Il 23% dei pirati utilizza ancora il “peer to peer” mentre al terzo posto in classifica troviamo l’acquisizione di file trovati attraverso i motori di ricerca. La motivazione principale che spinge ad agire chi viola il copyright di artisti e cantanti sarebbe “poter ascoltare le canzoni offline senza pagare i servizi premium”. “La pirateria musicale è scomparsa dai media negli anni scorsi ma di sicuro non è un fenomeno passato. Le persone amano ancora le cose gratis, quindi non ci sorprende che molte lo facciano. Ed è relativamente facile piratare la musica”, afferma al Guardian David Price, uno degli autori del rapporto.

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