Quasi il 90% delle app Android condivide i dati con Google

Google avrebbe sborsato 360 milioni di dollari per contrastare i rivali del Play Store

Secondo un’indagine dell’Università di Oxford, l’88% delle applicazioni sul Play Store condivide dati con i server di Big G

È il Financial Times ad aver diffuso un report dell’Università di Oxford sulle modalità con cui le applicazioni ospitate dal Play Store condividono dati con Google. A quanto pare, ben l’88% di tutte quelle pubblicate riporta, in un modo o nell’altro, una qualche tipologia di informazione alla compagnia di Alphabet. Stando all’analisi, un lavoro incrociato di questi dati con quelli raccolti altrove può facilmente generare un quadro chiaro sulle abitudini digitali di un utente, così da proporre pubblicità e altre iniziative di marketing.

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Da parte sua, Google ha criticato la metodologia del rapporto, affermando che il Times ha messo nello stesso calderone le operazioni di feedback che Android riceve per casi come quelli degli arresti anomali alle integrazioni ottenute dai software così da migliorare i servizi offerti. “Google Play si basa su policy e linee guida chiare circa il comportamento degli sviluppatori in merito alla gestione dei dati degli utenti – ha detto la compagnia – se un’app viola le nostre norme, agiamo di conseguenza”.

Cosa succede

Ma le agenzie in difesa dei diritti digitali, soprattutto negli Stati Uniti, tengono alta la guardia. Sono loro ad affermare che spesso non è chiaro all’utente finale che strada prendono le informazioni raccolte, come e quando fermare tale ottenimento. Sembra infatti che il livello dei dati raccolti superi di gran lunga la quantità necessaria a un’azienda per fornire un servizio personalizzato, creando così numerosi dubbi sull’eventualità che i contenuti vengano usati per attività di lucro.

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Del resto, la privacy è un tema centrale oggi più che mai. Da quando è esploso lo scandalo Cambridge Analytica, Alphabet ha fatto di tutto per affermare l’onestà delle procedure associate alle sue piattaforme, Android inclusa. Eppure c’è l’evidenza che tanti soggetti abbiano ancora  l’accesso a informazioni sensibili di milioni di persone, che non si sa bene come e quanto siano protette.