Amazon come Microsoft chiede regole precise sul riconoscimento facciale

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Amazon come Microsoft è pronta a un dialogo con le istituzioni e le associazioni a tutela della privacy per decidere le regole sull’utilizzo del riconoscimento facciale

Il riconoscimento facciale è una tecnologia che oggi tutti conoscono e che i grandi produttori di smartphone hanno ormai sdoganato come sistema di autenticazione. La scansione del volto, in realtà, si presta a moltissimi utilizzi allo scopo di certificare l’identità di una persona ma anche a strade poco etiche che mettono a rischio la privacy degli utenti. Amazon, così come altre aziende del settore hi-tech, è finita nel mirino della critica per come approccia il riconoscimento facciale. Lo scorso gennaio un gruppo di ben 85 associazioni ha scritto una lettera aperta indirizzata a Google, Microsoft e al sito di e-commerce affinché non vendano al governo la loro tecnologia. L’azienda di Redmond è stata la prima a chiedere regole più rigide sull’utilizzo del riconoscimento facciale e oggi anche il colosso di Seattle si è unito al coro. “Le nuove tecnologie non dovrebbero essere vietate o condannate a causa di un loro potenziale cattivo utilizzo. Invece bisognerebbe aprire un dialogo onesto tra tutte le parti in causa per far sì che questa tecnologia sia utilizzata propriamente”, sono le parole riportate da Reuters di Michael Punke, vicepresidente di Amazon Web Services.

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In generale le grandi aziende hi-tech sembrano comunque propense a non fornire i propri sistemi al governo. L’Fbi starebbe provando in anteprima la piattaforma Rekognition di Amazon ma il sito fondato da Jeff Bezos pare pronto a fare un passo indietro esattamente come ha fatto Google con il tanto discusso Project Maven, che ha causato una protesta di massa dei dipendenti. “Se non agiamo, rischiamo che da qui a cinque anni si ampli in modo tale da non riuscire più controllarla”, ha spiegato Brad Smith, chief counsel dell’azienda di Redmond. “Siamo in un momento cruciale per questo tipo di tecnologia e le scelte fatte dalle aziende determineranno se le future generazioni dovranno avere paura di partecipare a una manifestazione, frequentare luoghi religiosi o semplicemente vivere le loro vite”, ha sottolineato Nicole Ozer dell’American Civil Liberties Union (Aclu).

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