Il caso Foodora, gig economy o ritorno al passato?

Il caso Foodora, gig economy o ritorno al passato?

La Corte d’Appello di Torino ha ribaltato la sentenza di primo grado sulla vicenda dei riders di Foodora. Le conseguenze imprevedibili per le aziende e il mercato del lavoro

Mentre i dati Eurostat registrano l’aumento della disoccupazione giovanile in Italia, la Corte d’Appello di Torino ha fatto chiarezza su un caso molto spinoso, quello dei fattorini in bicicletta, i cosiddetti riders. Gig economy o ritorno al passato? Il dibattito è aperto. I giudici hanno condannato Foodora, la piattaforma di consegne a domicilio controllata dal gruppo Delivery Hero, a corrispondere ai 5 ragazzi che avevano intentato il processo, con l’obiettivo di ottenere un reintegro (non accolto) e lo status di lavoratori subordinati, le cifre che avrebbero dovuto guadagnare nei mesi in cui consegnavano cibo a domicilio, parificando il trattamento retributivo al contratto da fattorini della logistica. Si tratta di un vero ribaltone rispetto alla sentenza precedente, che non aveva dato seguito alle richieste dei riders. Cosa cambia adesso? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Olimpio Stucchi, managing partner di UNIOLEX, tra i maggiori esperti italiani nel settore del diritto del lavoro.

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FLESSIBILITÀ E REGOLE

«La Corte d’Appello di Torino ha deciso che i riders non sono lavoratori subordinati, ma lavoratori autonomi etero-organizzati. Secondo la sentenza, a questi lavoratori si deve applicare l’art. 2 del D.lgs. 81/2015 (uno dei decreti attuativi il “Jobs Act”), norma che estende le tutele previste per il lavoro subordinato proprio ai collaboratori etero-organizzati» – spiega Olimpio Stucchi. «I riders erano liberi di scegliere se lavorare o meno, ma una volta deciso per il sì, era il committente Foodora che decideva modalità, luogo e tempo di esecuzione dell’attività, inserendoli funzionalmente nella sua organizzazione». Le conseguenze della sentenza si leggono tra le righe.

«Per ora, vengono estese ai riders le regole del lavoro subordinato circa la retribuzione, TFR, ferie, orario di lavoro, igiene e sicurezza, previdenza sociale. Non si applicano, invece, le tutele sul licenziamento anche se non è da escludere che, nei prossimi mesi, altri tribunali decidano in modo diverso». Prospetticamente, vi sono ricadute ben più dirompenti, soprattutto in altri comparti che fanno uso massivo delle collaborazioni “etero-organizzate”, dal terziario avanzato alle startup. «I committenti – evidenzia Olimpio Stucchi – potrebbero veder crescere i contenziosi diretti a far applicare i principi stabiliti dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino, con aumento del costo-lavoro messo a budget. Peraltro, le condizioni per “omologare” i collaboratori ai lavoratori subordinati sono poche: basta che la prestazione di lavoro sia personale, continuativa e che il committente decida modalità, tempi e luoghi di esecuzione della prestazione, perché si abbia l’etero-organizzazione. Così come sono poche le ipotesi di esclusione dal “raggio” d’azione dell’art. 2: principalmente, si tratta delle prestazioni rese da professionisti iscritti agli albi».

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COME TUTELARE LE AZIENDE

In che modo le aziende possono tutelarsi? «Anzitutto, potrebbero effettuare una “due diligence” interna per verificare quali contratti applicano e con quali modalità i collaboratori svolgono la loro prestazione» – risponde Olimpio Stucchi. «Così da evitare – se possibile – di ricadere nell’etero-organizzazione. In secondo luogo, prima di instaurare una nuova collaborazione, sarebbe utile procedere alla sua “certificazione” davanti alle commissioni costituite presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro o le università, per ottenere la “corretta” qualificazione del contratto. Infine, in caso di contenzioso per l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato, potrebbe essere sollevata eccezione di illegittimità costituzionale dell’Art. 2, D.lgs. 81/2015 invocando la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza. Entrambi sono già stati applicati dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore assunto “a tutele crescenti” e ingiustamente licenziato perché ancorato solo all’anzianità di servizio. In futuro, vedremo come deciderà di muoversi l’Unione Europea e quale sarà il contenuto dell’annunciata direttiva sui lavoratori atipici e delle piattaforme».