In Italia mancano Ricerca & Innovazione in sicurezza cyber

Cybercrime: è dicembre il mese peggiore del 2020

Cresciuti nei primi sei mesi dell’anno dell’85% gli attacchi alle infrastrutture critiche e del 63% quelli al settore della ricerca; il Clusit delinea le priorità d’azione per il nostro Paese

L’ultimo Rapporto Clusit, che riporta i dati più aggiornati relativi al cybercrime, analizza 850 attacchi gravi nel primo semestre 2020: si tratta di un trend in costante crescita, che definisce il semestre il peggiore di sempre a livello globale.

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In particolare, secondo i dati del Rapporto Clusit 2020, gli attacchi perpetrati verso le Infrastrutture Critiche sono aumentati dell’85% nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2019; verso i Gov Contractors del 73,3%; gli attacchi che hanno avuto come obiettivo il settore della Ricerca e delle Istituzioni scolastiche sono cresciuti del 63%. Nel semestre si è inoltre registrato un incremento degli attacchi rivolti alle stesse istituzioni governative pari al 5,6%, sempre rispetto allo stesso semestre dello scorso anno.

“Di fronte a questo scenario, che sottende un’accelerazione del cyber crimine con logiche industriali, crediamo che sia fondamentale sviluppare la Ricerca e l’Innovazione, anche attraverso il finanziamento a startup e iniziative imprenditoriali italiane nel settore della cybersecurity”, afferma Gabriele Faggioli, presidente Clusit.

L’avvio di imprese nel settore della cybersecurity sembra incontrare maggiori criticità nel nostro Paese rispetto al resto del mondo. I dati dell’Osservatorio Cyber Security & Data Protection del Politecnico di Milano evidenziano infatti che su un totale di 254 start up nell’ambito della cybersecurity avviate nel mondo a partire dal 2015, solo il 2% è italiano; in termini di finanziamento, la media italiana è stata di un milione di dollari, a fronte dei 15 milioni di dollari ricevuti in media nel resto del mondo.

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Per attuare una strategia efficace di cyber difesa, secondo gli esperti Clusit, adeguati investimenti in Ricerca e Innovazione dovrebbero prevedere anche forme condivise di sapere e collaborazione tra pubblico e privato, così come la proposizione di un programma formativo nazionale che sviluppi a lungo termine le competenze necessarie. In particolare, le tecnologie “dual use” oggi disponibili sul mercato e il loro utilizzo da parte dei diversi stakeholder rappresentano l’asset emblematico di questa cooperazione.

“Pensiamo che questi siano i primi e urgenti passi da compiere per mettere in moto un processo virtuoso di crescita non solo tecnologica, ma anche economica dell’intero sistema Paese”, conferma Faggioli. “Lavoriamo in questa direzione anche con le istituzioni; in gioco ci sono continuità sociale ed economica”.