Dental microwear analysis per conoscere l’ultima cena del pleistocene

Il nuovo software MicroWeaR è in grado di ricostruire la dieta del passato sulla base delle tracce di usura dentaria. Lo strumento è stato messo a punto da un team internazionale guidato dai ricercatori dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Analizzare le tracce di masticazione ancora visibili sui denti di animali e uomini del passato è un passo fondamentale per ricostruire le loro abitudini alimentari.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Con questo obiettivo un team internazionale, guidato da ricercatori della Sapienza, in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II, di Saragozza e di Helsinki, ha sviluppato un nuovo software open access per semplificare l’identificazione di tracce microscopiche lasciate dal cibo sui denti durante la masticazione degli ultimi pasti consumati. «Lo studio dei denti fossili e in particolare delle tracce di usura presenti sulla superficie dentale restituisce una serie di importanti informazioni riguardo la dieta, la morfo-meccanica e, più in generale, la biologia di animali estinti» – spiega Flavia Strani del dipartimento di Scienze della Terra. «Le tecniche in uso per questo tipo di studi si sono molto sviluppate negli ultimi decenni, soprattutto grazie alla microscopia, ma abbiamo l’esigenza di un ulteriore salto di qualità».

In questo ambito si colloca l’idea di MicroWeaR, che rende possibile misurare, quantificare e catalogare automaticamente le tracce microscopiche di usura dentale, per rivelare con precisione la modalità di masticazione e l’eventuale consumo di fibre vegetali, di alimenti vegetali più coriacei (tuberi, semi) o di carne. Il software è stato testato su due reperti fossili appartenenti a un primate del Miocene e a un cervide del Pleistocene. I dati sui pattern di usura dentale estrapolati sono stati comparati con quelli precedentemente ottenuti tramite l’applicazione di metodologie di studio tradizionali. «Il software da noi sviluppato – continua Antonio Profico del dipartimento di Biologia ambientale – potrà essere quindi utilizzato e implementato anche da altri team di ricerca, che potranno personalizzare questo strumento secondo le esigenze di studio auspicando una piena condivisione dei dati raccolti».

Leggi anche:  Zoom Workplace, il lavoro in team reimmaginato dall’IA