Sembra che la lotta contro l’Alzheimer, considerata da molti la piaga dell’epoca moderna, possa avere un prezioso alleato in un raggio di luce in grado di attivare o cancellare un ricordo e arginare in questo modo l’avanzare della malattia.

E’ quanto sostenuto da un team di studiosi californiani guidato da Robert Malinow, dell’Università di San Diego e finanziato dall’Istituto Nazionale per la Salute Mentale.

La sperimentazione, iniziata sui topi in questa fase preliminare, apre tuttavia nuovi significativi orizzonti nella cura di questa gravissima malattia degenerativa neurologica e si innesta in un percorso di ricerca che ultimamente ha raggiunto importanti traguardi, soprattutto nella prevenzione: ne è un esempio lo sviluppo del test che entro 3 anni dovrebbe predire la malattia con una precisione del 90%; oppure l’invenzione di un rivoluzionario videogioco per la diagnosi. L’alzheimer, il cui sviluppo potrebbe anche essere collegato al consumo di carne cotta, potrebbe essere contrastato grazie a un impulso luminoso che indebolisce o rafforza selettivamente le connessioni neuronali del cervello, dette sinapsi.

L’apprendimento nei ratti

Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi hanno stimolato otticamente nel cervello di un ratto un gruppo di sinapsi geneticamente modificate per renderle fotosensibili, inviando contemporaneamente una scossa elettrica al piede dell’animale. I ratti hanno dimostrato di imparare l’associazione della stimolazione del nervo ottico con il dolore, esternando paura quando i nervi venivano toccati.

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In un secondo momento, in assenza di stimolazione, gli animali non hanno mostrato paura in quanto l’associazione al dolore era stata eliminata.

Possibili applicazioni future

Questi esperimenti possono trovare un importante riscontro concreto nella cura di patologie caratterizzate da disturbi di deficit di memoria, come la demenza, ma possono anche migliorare la comprensione di come i ricordi emozionali spariscano nei malati mentali o nei pazienti affetti da stress post traumatico.

“Dato che il nostro lavoro – ha affermato Malinow – mostra che possiamo invertire i processi che indeboliscono le sinapsi, potremmo potenzialmente contrastare alcuni degli effetti del beta-amiloide nei pazienti malati di Alzheimer”.

Il peptide Beta Amiloide, che si accumula nel cervello delle persone malate, indebolisce le connessioni sinaptiche in modo analogo a quanto avviene grazie alla stimolazione sui ratti.