Cose da Internet

Cisco protagonista anche in Italia della nuova fase di evoluzione infrastrutturale che porterà alla connessione di 50 miliardi di oggetti. E a infinite opportunità di business

Una Cisco intenzionata a vincere la battaglia della virtualizzazione delle infrastrutture di connettività e concretizzare le infinite opportunità della Internet of Everything (IoE), ha organizzato a Milano un incontro in presenza di cervelli italiani del calibro di Flavio Bonomi, Cisco Fellow con una trentennale esperienza nella Silicon Valley, e Paolo Campoli, CTO di Cisco Europe e responsabile a livello continentale delle architetture dei Service Provider, gli operatori di reti e telefonia. Con loro l’amministratore delegato di Cisco Italia Agostino Santoni e due componenti di spicco del team italiano come Michele Dalmazzoni (Collaboration Architecture Leader) e Alberto Degradi (Infrastructure Leader), tutti impegnati a discutere sul potenziale – in termini di opportunità di business e di servizi al cittadino – della nuova fase di Internet. Quella che in meno di dieci anni dovrebbe portare alla Internet delle cose, una infrastruttura di connettività che metterà in relazione diretta 50 miliardi di “nodi” tra persone, oggetti, minuscoli sensori e attuatori.

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«Quella che Cisco definisce Internet of Everything è solo la quarta fase di un fenomeno iniziato con la posta elettronica,» ha spiegato Santoni riferendosi alle quattro fasi che in questi 20 anni hanno caratterizzato l’evoluzione di Internet, «continuando poi con la rivoluzione della Net Economy e la digitalizzazione delle interazioni umane sui social network». Il nuovo paradigma, ha aggiunto Santoni, porterà Internet a colmare un gap di connettività che riguarda «il 99% delle cose che ancora non possono dirsi collegate». In termini di opportunità di trasformazione e innovazione dei processi, questa esplosione di connessioni sarà difficilmente misurabile, ha poi aggiunto Santoni esaltando il ruolo di Cisco non solo come costruttore di hardware specializzato, ma anche come provider di software e servizi per la virtualizzazione dei data center e applicazioni business come il video, la telepresenza, la collaboration. «Tutto questo non lo portiamo avanti da soli,» ha voluto sottolineare Santoni che ha anzi fatto costante riferimento al ruolo dei partner come indispensabile tramite di innovazione per Cisco in Italia. «A livello corporate Cisco continua a investire nel nostro Paese, per esempio con i 250 ricercatori del laboratorio di fotonica, con i loro 100 brevetti, o collaborando con partner come Computergross per la realizzazione di BizMall, un marketplace di servizi dove aziende innovative e startup possono trovare sbocchi B2B per le loro idee». Santoni ha anche citato la sponsorizzazione di Cisco a eventi come Expo 2015, definito come una formidabile occasione per lo sviluppo di servizi e la loro applicazione in altri contesti. O il contributo formativo della Cisco Networking Academy, 30 milioni di euro investiti in 14 anni per formare oltre 70mila giovani.

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Intervenendo dopo l’AD, Flavio Bonomi ha ricordato che l’indispensabile presupposto tecnologico della IoE è una infrastruttura in cui l’intelligenza sia più pervasiva e distribuita verso la periferia. «Nei suoi 30 anni di attività, Cisco si è focalizzata molto sul core della rete, sull’aspetto del trasporto, ma la Internet delle cose va ben oltre la connettività, richiede un grosso apporto di elaborazione». Per questo, la IoE è destinata a rivoluzionare il modo di pensare l’informatica, generando un potenziale valore economico stimato in oltre 14mila miliardi di dollari in 10 anni. Per Bonomi l’intelligenza distribuita darà luogo al fenomeno del “fog computing”. «Se il cloud è rappresentato dai data center, la “nebbia” pervade anche la periferia della rete, portando l’intelligenza del software fino ai più piccoli sensori». Il valtellinese Bonomi si è detto stupito di essere tornato a casa scoprendo che anche i produttori di vino delle sue terre oggi si servono dei sensori per ottimizzare la qualità e la resa dei vitigni. «Molti altri settori saranno trasformati dalla nuova intelligenza di rete, dai processi manifatturieri alla sanità, dall’automotive all’energia, fino alla pubblica amministrazione».

Paolo Campoli ha cercato di rendere il più divulgativo possibile il concetto di virtualizzazione della rete o di “software defined network” che Cisco si sta sforzando di attuare, soprattutto a livello degli operatori di infrastrutture pubbliche. «Una rete “definita via software” separa completamente l’aspetto del trasporto da quello del controllo. Lo scopo è quello di rendere completamente “programmabili” – attraverso delle vere e proprie Api – parametri come la larghezza di banda, la qualità, la prioritizzazione, la sicurezza del trasporto dei dati, in modo che sia possibile arrivare a definire virtualmente le risorse di rete, come facciamo oggi con le infrastrutture di calcolo». Un obiettivo non banale da raggiungere, soprattutto sulle reti degli operatori pubblici.

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Infine sono state esplorate le opportunità di integrazione a livello di hardware e servizi offerte dalle soluzioni della Cisco Unified Communication e della Cisco One (Open Network Environment) Network Architecture. Una novità riguarda per esempio il mondo della collaboration in azienda, oggi ancora più accessibile anche per le piccole e medie imprese grazie alla Business Edition 6000 del Cisco Ucs C Series Server. Secondo Michele Dalmazzoni, il nuovo server mette a disposizione di gruppi di lavoro anche molto limitati, fino a 25 persone, «una vera e propria architettura di collaborazione “in a box”, con otto diverse applicazioni tra cui voice mail, messaggistica e videoconferenza».