Alla base dell’instabilità dei mercati sarebbe una causa di natura fisiologica: un alto livello di cortisolo, ormone responsabile dello stress, porterebbe gli operatori in Borsa ad una sorta ‘pessimismo irrazionale’, che determinerebbe un’avversione al rischio, prolungando così i periodi di crisi finanziaria
Questa è l’insolita tesi emersa da uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences da parte di alcuni scienziati della Cambridge Judge Business School e da un ex trader di Wall Street, John Coates.

L’ormone che inibisce il rischio

E’ la prima volta che la crisi dei mercati viene messa in relazione con dei fattori ormonali, diventando quindi una questione di ‘salute’. Che gli ormoni giochino brutti scherzi all’organismo è un fatto noto, ad esempio l’ossitocina è responsabile anche di paura e ansia, nonostante sia considerato l’ormone dell’amore.

La ricerca mostra che le preferenze individuali in materia di rischi finanziari hanno oscillazioni significative dovute proprio agli ormoni: sembrerebbe che gli operatori che devono assumersi questa responsabilità mostrino un’avversione verso l’azzardo proprio durante i periodi di maggior volatilità dei mercati, quelli che invece richiederebbero maggior prontezza d’azione e audacia. La ricerca rivela anche che lo stress cronico, soprattutto tra gli uomini, indurrebbe comportamenti di maggior cautela: in particolare, ad avere un effetto di questo genere sui trader sarebbe stata soprattutto la crisi del credito che ha causato la volatilita’ del mercato fra il 2007 e il 2009.

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La dimostrazione

La ricerca ha monitorato un gruppo di trader che operano nella City di Londra rilevando, nell’arco di otto giorni di mercati volatili, un aumento medio del cortisolo del 68%.
Per mettere in correlazione l’ormone con il comportamento degli operatori finanziari, gli scienziati hanno quindi somministrato in ospedale ad un gruppo di volontari compresse di idrocortisone per aumentare il livello di cortisolo del 68%.
La tesi è stata confermata grazie ad una serie di giochi a cui sono stati sottoposti i volontari, che spinti ad assumere dei rischi hanno rivelato un crollo del 44% della tendenza ad metter in atto comportamenti azzardati.
In un altro gruppo di controllo, a cui era stato invece somministrato del placebo, non sono state rilevate inflessioni della propensione al rischio.