ICT, un mercato destinato a risorgere?

Nel 2010, a ridosso della crisi finanziaria che ha avuto il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers, le previsioni erano volte al meglio. Vi era un cauto ottimismo. Si pensava di poter recuperare le posizioni perdute, che l’economia potesse riuscire ad esprimere segnali incoraggianti. “Se la recessione è ormai alle spalle, si affermava in un documento prodotto da Centro Studi Confindustria, i segnali di ripresa si rivelano sempre più netti e diffusi nelle principali economie mondiali… Per alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ci vorranno anni per chiudere il divario spalancato dalla crisi tra i livelli di picco raggiunti nella precedente espansione e il profondo punto minimo raggiunto alla fine del 2009”. Secondo il CSC, tenuto conto dei tassi di crescita potenziali, all’Italia sarebbero stati necessari quattro anni (fino al 2013) per tornare ai livelli di PIL pre-crisi, Si stimava un tempo di recupero di 4 anni. Il 2013 sarebbe stato l’anno del definitivo riscatto.

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Purtroppo, così come ci ha insegnato questi ultimi dieci anni, non vi sono previsioni in grado di prevedere un futuro a medio e lungo termine. La crisi dell’eurozona ha infranto qualsiasi ipotesi di sviluppo. Ci ritroviamo oggi nella più completa assenza di stabilità finanziaria. E il recupero del volume degli investimenti ICT è ora proiettato su orizzonti molto più lontani. Il 2011, in base ai dati Assinform, si è chiuso con una perdita, rispetto al 2010, del 3,6%. Da 60 miliardi di euro si è passati a 58 miliardi di euro. Una spesa che si andrà a contrarre ulteriormente nel corso dell’anno.

L’innovazione, in un momento come quello attuale, viene considerata necessaria, ma la crisi del sistema creditizio frena possibili interventi di sviluppo. Cresce il fabbisogno di finanziamento delle imprese, ma le condizioni nell’erogazione del credito adottate dalle banche sono diventate più selettive. Il rilancio dell’economia va quindi di pari passo al risanamento dei sistemi bancari.

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Eppure, per quanto le condizioni meteo economiche-finanziarie volgano al peggio, non va abbandonato un sentimento di realistico ottimismo. Il mercato ICT è destinato a risorgere, se non altro perché è la leva della crescita economica. In assenza di un rilancio dell’economia digitale è scontato che si verifichi un arretramento generale della nostra competitività. Il divario dell’Italia nell’utilizzo sociale della tecnologia, rispetto ad altri Paesi europei, eccetto i cugini dell’area mediterranea, è sempre più evidente. Una condizione che allontana, progressivamente, la possibilità di creare nuovi servizi, ai cittadini e alle imprese, e la speranza di un generale miglioramento dello stile di vita.

L’assenza di un’economia digitale, o quanto meno la precarietà di un’economia digitale, va peraltro di pari passo con fenomeni regressivi come l’evasione fiscale. In quei paesi dove non esiste un diffuso utilizzo dei sistemi digitali di pagamento prevale un’economia sommersa, lavoro e pagamenti in nero. Come si ricordava in una delle puntate di Report, “L’Italia è il paese del contante: 9 volte su 10 per pagare si tirano fuori i soldi piuttosto che fare un bonifico o usare una carta di pagamento”.

540 miliardi, è l’ammontare del “nero” italiano, secondo quanto affermato da Eurispes, un valore corrispondente al 35% del Pil, mentre secondo l’Agenzia delle Entrate il sommerso è intorno ai 300 miliardi, fenomeno che dà luogo a 120-150 miliardi di evasione, favorita proprio dal grande uso di denaro contante. Insomma,’economia digitale come antidoto all’economia sommersa.