Contro la crisi: anche la consulenza deve reagire

La consulenza è uno dei settori più colpiti dalla crisi di questi mesi. In Italia, a fronte di una crescita del 4% della spesa delle grandi imprese in consulenza nel 2008, si prevede un calo del 19% per quest’anno e di un ulteriore 5% per il 2010, secondo le rilevazioni di Uscire dalla crisi. Quale aiuto dalla consulenza?, una ricerca condotta su 50 grandi imprese italiane da Olga Annushkina, Francesco Sacco e Markus Venzin dell’Enter, Centro di ricerca imprenditorialità e imprenditori dell’Università Bocconi, in collaborazione con Ernst&Young, presentata alla Bocconi.

A essere colpita è soprattutto la consulenza tradizionale, come quella strategica (il 60% delle imprese prevede di ridurla), organizzativa, finanziaria, contabile (con almeno il 50% delle imprese intenzionate a contrarre queste voci di spesa).

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

A crescere è soltanto il settore della consulenza informatica, che metà delle imprese dichiara di voler incrementare, insieme alle attività già avviate e quelle, molto puntuali, rivolte alla riduzione dei costi o all’incremento del fatturato. Secondo molti manager in questo periodo “i benefici di un progetto di consulenza devono maturare nello stesso anno dell’avvio del progetto”.

Quarto paese europeo per prodotto interno lordo, l’Italia è solo ottava per fatturato della consulenza, dietro paesi come Spagna, Svezia, Olanda e Austria. Con 20.000 addetti e 2,6 miliardi di fatturato nel 2007, il settore è cresciuto, negli ultimi anni, più lentamente che nel resto d’Europa.

In Italia rimane preponderante l’attività di consulting tradizionale (62% del settore, rispetto al 42% dell’Europa nel suo complesso) e rimangono contenuti i fatturati di attività altrove in forte crescita come l’outsourcing (7% contro 20%) e It consulting (3% contro 15%).

Leggi anche:  EOS Solutions è nel Microsoft Dynamics Inner Circle per la nona volta

Una profonda esigenza di cambiamento traspare dal fatto che i manager chiedono alle società di consulenza una maggiore condivisione del rischio dei loro interventi, attraverso una struttura dei costi che potrebbe prevedere una quota fissa e success fee legate alla riuscita del progetto.

Vorrebbero, inoltre, maggiore specializzazione; minore enfasi sulla forma; maggiore orientamento ai risultati; condivisione delle best practice; minore utilizzo di schemi predefiniti e maggiore contestualizzazione; maggiore disponibilità a sperimentare nuove forme di partnership.

Le imprese considerano punti di forza dei consulenti la possibilità di confrontarsi con esperti esterni con competenze specialistiche non presenti in azienda, la possibilità di benchmarking dovuta alla conoscenza di realtà terze e indipendenza di giudizio.

Il maggiore difetto, invece, è una sindrome fatta da approccio troppo teorico, scarso coinvolgimento in azienda e mancanza di sensibilità rispetto alle dinamiche interne. Anche l’utilizzo eccessivo di personale poco esperto è imputato come una mancanza.

La ricerca indaga anche la reazione delle imprese italiane alla crisi. La riduzione dei costi è stato un passaggio pressoché obbligato (è una via intrapresa dal 92% di esse), con riflessi significativi sull’occupazione (ridotta, anche se marginalmente, dal 69% delle imprese, rispetto al 4% che l’ha aumentata, con gli altri fermi sui livelli precedenti) e sull’organizzazione (il 70% delle imprese intende modificarla), ma si tratta di una fase quasi esaurita.

Per uscire davvero dalla crisi le grandi imprese italiane intendono adottare una strategia d’attacco, investendo in innovazione e nella ricerca di nuovi mercati.

Così, secondo la rilevazione, il 68% delle imprese è intenzionata a incrementare gli investimenti in innovazione di prodotto e di processo e il 42% quelli in ricerca e sviluppo (che danno risultati in un orizzonte temporale più lungo).

Leggi anche:  Intelligenza artificiale: il mercato in Lombardia raggiunge quasi 192 milioni di euro nel 2023

Si fa strada la tendenza a invertire il processo di delocalizzazione produttiva, vuoi per migliorare l’efficienza dei processi (con un’enfasi, dunque, sui costi), vuoi per mirare a una più stretta integrazione, foriera di migliori possibilità di innovazione.