Da una crisi tutta maschile verso una ripresa al femminile

La ricerca svolta da Manpower sull’occupazione femminile evidenzia come una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro possa essere il giusto vantaggio competitivo per uscire dalla crisi, con il supporto di una politica del lavoro che agevoli un loro sempre più attivo coinvolgimento. “Per l’espressione piena del contributo manageriale femminile occorre una evoluzione culturale che deve necessariamente essere anche politica e sociale”, dichiara Stefano Scabbio, Presidente e AD Manpower.

Le tendenze che oggi stanno trasformando il mondo del lavoro sono legate al crescente predominio del settore dei servizi e alla riduzione della popolazione in età lavorativa, a cui si aggiunge la morsa della carenza dei talenti che si fa sempre più stretta. Restano vacanti diverse posizioni a tutti i livelli del settore servizi in ambiti come l’ingegneria, l’IT e la sanità, e il personale qualificato, che determina la crescita all’interno di un paese, non sarà sufficiente a soddisfare l’esigenza. Per aumentare in tempi rapidi la propria forza lavoro, i governi e le imprese dovrebbero rivolgersi a un gruppo demografico specifico, non ben rappresentato nell’economia ufficiale e che ha invece molto da offrire: le donne. I benefici legati alla loro attiva partecipazione nel mercato del lavoro potrebbe aumentare la crescita economica, ridurre la povertà, accrescere il benessere della società e contribuire allo sviluppo sostenibile di tutti i paesi.

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Lo rivela l’ultima ricerca che Manpower, multinazionale specializzata nel settore delle risorse umane, ha realizzato a livello mondiale. Il report 2008 dell’OECD – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – segnala che in tutti i paesi il tasso di occupazione femminile è notevolmente più basso di quello maschile: in media, il 60% delle donne ha un impiego contro il 75% degli uomini.

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Le strutture di lavoro non flessibili restano le maggiori barriere che ostacolano una loro più attiva partecipazione: molte donne non hanno la possibilità di stare in ufficio per otto ore consecutive dal lunedì al venerdì, ma hanno necessità di impieghi che consentano loro di scegliere dove e quando eseguire il lavoro. La vera flessibilità dovrebbe permettere alle persone di definire i propri orari e allontanarsi dall’ufficio, se necessario. E le mansioni nel settore servizi – dove il fabbisogno di nuovi impiegati è maggiore – possono spesso accogliere questo tipo di accordi. Secondo le previsioni degli economisti, il numero dei posti di lavoro in questo settore crescerà almeno fino a 500 milioni tra il 2004 e il 2015, per la maggior parte in Asia e per decine di milioni in Europa, America e Medio Oriente. Allo stesso tempo, nel mondo sviluppato la popolazione sta invecchiando e il numero di giovani che entra nel mondo del lavoro sta diminuendo. Quello dei servizi è un settore che si presta esattamente alla flessibilità di cui avrebbero bisogno le donne: in ambiti come le vendite, l’immobiliare e la consulenza, il lavoro spesso può essere svolto ovunque e in qualsiasi momento.

Diventa dunque imperativo per i governi modificare i vecchi modelli che risentono di retaggi culturali come pure strutturali. E’ necessario eliminare i controlli sugli orari e utilizzare le tecnologie che permettono ai singoli di lavorare e collaborare con facilità a distanza e indipendentemente dagli orari. Dovrebbero essere riviste le due aree della vecchia scuola che maggiormente scoraggiano le donne all’impiegarsi: le normative su stipendi, benefit, previdenza e pensioni potrebbero essere basate sugli obiettivi raggiunti e non sul modello delle 40 ore settimanali; le politiche che rendono difficile per le donne rientrare nel mondo del lavoro dopo aver interrotto la carriera (di solito per avere figli) potrebbero essere più agevoli, con una maggiore disponibilità di impieghi part-time, la possibilità di lavorare da casa e la libertà di evitare gli straordinari.

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“Per l’espressione piena del contributo manageriale femminile occorre una evoluzione culturale, che deve necessariamente essere anche politica e sociale nella sua accezione più ampia. Le donne al vertice che ho incontrato nella mia carriera sono state poche. Ma migliori dei loro colleghi uomini. Brillanti, determinate, altamente professionali ma che al riconoscimento delle proprie competenze hanno spesso sacrificato importanti componenti del privato, arrivando in alcuni casi fino alla rinuncia alla maternità. E’ banale, ma corrisponde al vero. E allora perché questa situazione, che pure ha raggiunto un livello di consapevolezza diffuso, non riesce a cambiare direzione? La strada da percorrere è complessa e si dipana in diversi ambiti. Quello aziendale, in cui è necessario introdurre servizi di supporto e processi organizzativi che consentano una flessibilità reale, e non solo espressa a parole, rispetto ai tempi e ai modi del lavoro. Quello politico, per sviluppare anche dal punto di vista legislativo un supporto concreto e profondo, lontano dalla forzatura inutile delle “quote rosa”. Quello personale, con scelte più coraggiose da parte delle donne, come quella di avventurarsi in settori che purtroppo culturalmente sono stati di appannaggio maschile, e con strategie familiari collaborative che stabiliscano un equilibrio nuovo rispetto ai ruoli tradizionali” ha dichiarato Stefano Scabbio, Presidente e Amministratore Delegato Manpower.
Le differenze di salario continuano a essere un problema: le donne nei paesi OECD guadagnano in media il 17% in meno degli uomini, e negli Stati Uniti la differenze è del 20%. Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che, nonostante le donne siano arrivate a ricoprire ruoli prestigiosi all’interno di molte aziende, è ancora molto diffusa la convinzione che esse non abbiano le stesse opportunità di avanzamento degli uomini. Se si considera che in tutto il mondo esse superano di gran lunga gli uomini per quanto riguarda il raggiungimento della laurea, si comprende come la cultura possa costituire un ottimo punto di partenza per superare questa criticità.
E’ necessario imparare a valutare ogni posizione lavorativa in base alla capacità e all’esperienza che le persone possiedono e sono quindi in grado di trasferirvi, facendo una stima dei risultati e del livello di conoscenza raggiunti che esuli dal tempo che la risorsa trascorre alla sua scrivania.
Il mercato del lavoro contemporaneo deve riuscire a comprendere la vera flessibilità per aumentare la scelta dei lavoratori, con la consapevolezza che ogni vantaggio competitivo nel lungo periodo dipende dalla capacità di permettere a più persone di far parte della forza lavoro in un modo sostenibile.

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