La svolta delle utility: dalla crisi del mercato energetico alla conquista dei target “verdi”

La recessione globale – con un crollo storico dei consumi mondiali di elettricità (-3,5%) e di gas (-3%) – ha messo le utility sotto pressione, e impone loro decisi cambiamenti sul breve e sul lungo termine.

E’ quanto si legge nell’undicesima edizione del report sull’Osservatorio europeo dei mercati dell’energia (EEMO) stilato da Capgemini, leader mondiale nei servizi di consulenza, tecnologia e outsourcing, con il supporto di Société Générale Global Research & Strategy, CMS Bureau Francis Lefebvre e VaasaETT.

Nel breve termine le Utility stanno posticipando o cancellando gli investimenti nelle infrastrutture essenziali e dismettendo asset. Nel lungo termine, è necessario un cambiamento più profondo nei loro modelli di business.

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Sul cambiamento climatico il report indica inoltre che sono necessarie ulteriori azioni per andare incontro agli obiettivi 2020 fissati dal pacchetto Clima ed Energia della Commissione europea, anche se l’Unione europea in questo campo è avanti rispetto ad altre aree del mondo.

Secondo l’Osservatorio europeo dei mercati dell’energia, queste tendenze richiedono un nuovo approccio per il settore utility. Avendo investito pesantemente negli anni scorsi in acquisizioni transfrontaliere, le loro riserve di cassa, in precedenza consistenti, sono diminuite.

In aggiunta, la caduta dei prezzi e il calo dei consumi (circa il 5% nell’elettricità e il 9% nel gas nel primo semestre 2009, per i principali paesi europei; in Italia, ad esempio, i consumi del gas dei primi sette mesi del 2009 sono stati inferiori del 12,6% rispetto a quelli del medesimo periodo del 2008) hanno ridotto le entrate, generando l’attuale percezione di rischio finanziario e una caduta dei tassi di rating.

Société Générale Global Research & Strategy (che ha contribuito al capitolo Finance and Valuation of Utilities companies) ha riscontrato che il debito delle utility ha continuato a crescere nel 2008, visto che la somma del debito delle 10 più grandi società europee è cresciuto del 113% tra il 2006 e il 2008, raggiungendo i 213 miliardi di euro.

Per risalire, le utility adesso hanno bisogno di implementare una serie di misure:

Nel breve termine, hanno bisogno di ripristinare la fiducia degli investitori. Molte utility europee, infatti, hanno posticipato gli investimenti e annunciato grandi piani di dismissione, in particolare sulle infrastrutture di rete. Questi asset, con le loro entrate periodiche e prevedibili, possono attirare nuovi tipi di investitori. Enel, ad esempio, ha deciso di disinvestire le proprie attività di distribuzione del gas a una cordata composta da F2i e AXA, che ha rilevato l’80% della rete per 516 milioni di euro.

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In aggiunta, come mostrano due analisi di benchmark di Capgemini, molte utility ex-monopoliste hanno spazio per migliorare la loro efficienza operativa e molte di loro hanno lanciato piani di riduzione dei costi.

Nel medio termine, le utility devono adattarsi alla nuova legislazione UE che comprende il pacchetto clima ed energia. Devono tendere ad una generazione di energia priva di emissioni con le rinnovabili e l’energia nucleare, così come agire sulla gestione della domanda implementando nuove tecnologie come lo SmartMetering (contatori elettronici) e le Smart Grids (reti intelligenti); l’utilizzo dello Smart Metering nel settore terziario e residenziale aiuterà a diminuire il consumo di energia, ridurrà la domanda di picco di elettricità e migliorerà la gestione della rete così come le relazioni con i clienti.

Sempre Enel in Italia sta sviluppando assieme a STMicroelectronics una nuova generazione di contatori elettronici intelligenti che permetteranno in futuro di agire sugli elettrodomestici di casa per ottimizzarne il profilo di consumo.

Inoltre, l’Autorità di regolazione italiana ha obbligato tutti i distributori del gas a rinnovare il parco dei contatori con nuovi misuratori elettronici. Non è tuttavia molto chiaro se questo enorme investimento possa favorire una riduzione dei consumi.

Le utility hanno anche la necessità di definire la loro visione e il piano circa l’implementazione delle Smart Grids; queste ultime permettono alla rete di distribuzione di gestire sia la generazione centralizzata che decentralizzata, l’immissione discontinua di energia rinnovabile, i flussi multi direzionali legati ai clienti che divengono produttori occasionali, programmi di gestione della domanda e operatività di rete in tempo reale.

Nel lungo termine, le utility potrebbero divenire consulenti su energia e risparmio di CO2 per i loro clienti. Oggi, tuttavia, non è ancora chiaro quali possano essere gli incentivi per compiere questo passo. È questo il caso della campagna 30PERCENTO di Eni.

Investimenti infrastrutturali rimandati o cancellati

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La crisi ha condotto a una caduta nei consumi e nei prezzi, portando molte utility a rimandare o a cancellare investimenti e impattando la crescita delle energie rinnovabili, significativa negli anni precedenti.

Già nel 2008, gli investimenti in energia sostenibile (rinnovabili ed efficienza energetica) è cresciuta ad un passo molto più lento (2%) che durante i cinque anni precedenti, quando la crescita annuale ha raggiunto il 56%. Questo trend è stato rafforzato dalla crisi.

Nella seconda metà del 2008 gli investimenti europei nelle energie rinnovabili sono scesi del 14% (rispetto al secondo semestre 2007) attestandosi a 21,2 miliardi di dollari.

In leggera controtendenza è l’Italia, terzo paese europeo per produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile dopo Germania e Spagna, la cui capacità di produzione da fonti pulite è cresciuta del 7% nel 2008 e del 4,8% nel 2007.

Fortunatamente, molti piani di sviluppo contengono incentivi agli investimenti. Per esempio, i presidenti dei Paesi membri della UE e il Parlamento europeo hanno votato nel maggio 2009 un piano da 4 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture energetiche; l’effetto di questi piani su investimenti non si concretizzerà prima del 2010.

In ogni caso, questi piani hanno sostenuto nel secondo trimestre 2009 investimenti crescenti in energia pulita, con fusioni e acquisizioni nel settore che assommano a 8,8 miliardi di euro, in confronto ad un valore minimo di 1,1 miliardi di euro nel trimestre precedente.

Dopo la crisi, si può prevedere un incremento più ridotto nella domanda di elettricità e gas rispetto agli altri anni, a causa soprattutto delle nuove leggi sul risparmio energetico e dei cambiamenti nelle abitudini dei cittadini.

Dati questi trend, la Union for the Co-ordination of Transmission of Electricity (UCTE) ha rivisto al ribasso, da 50.000 Megawatt a 20.000 Megawatt, le sue stime sugli investimenti aggiuntivi per la generazione di energia, richiesti per mantenere la sicurezza degli approvvigionamenti entro il 2020, e prevede che questi investimenti verranno effettuati.

Anche Terna, gestore della rete di trasmissione elettrica nazionale, ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita della domanda d’energia elettrica. Nel suo Piano di sviluppo del 2009 (in consultazione) pronostica una crescita annua dell’1,3% mentre nel piano del 2008 prevedeva un aumento del 2,2% annuo.

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Questo studio parte da due ipotesi: che gli investimenti pianificati al momento non vengano cancellati e che dopo la crisi, gli investimenti riprenderanno. Ma nessuna di queste due ipotesi può essere avvallata per ora.

Colette Lewiner, Global Leader of Energy, Utilities & Chemicals, Capgemini, ha dichiarato: “Quello delle utility è un’industria pesante che richiede piani e realizzazioni di lungo termine.

Un esempio di questo sono le infrastrutture per il gas. Gli investimenti in impianti di ri-gassificazione, in gasdotti e in attività di esplorazione e produzione nei giacimenti di gas delle regioni del mare del Nord e Artico, e in giacimenti di gas non convenzionale, sono essenziali per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Continuare ad andare incontro a questi bisogni durante la crisi è essenziale, altrimenti la ripresa sarà difficile”.

Raggiungere gli obiettivi del pacchetto clima ed energia della UE

Alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico prevista a Copenhagen per dicembre 2009, è più che probabile che la UE sia l’unica regione tra i paesi sviluppati a dimostrare obiettivi chiari in termini di decremento delle emissioni di CO2, così come un sistema attivo di tipo cap and trade.

Comunque, l’Osservatorio evidenzia che anche se le emissioni di CO2 sono scese nel 2008 e nel 2009, questo è soprattutto legato alla crisi economica e non a cambiamenti strutturali.

Per esempio, è preoccupante osservare che ancora tre quarti delle centrali elettriche in costruzione saranno alimentate da combustibili fossili e quindi emetteranno CO2.

È chiaro quindi che occorre intraprendere ulteriori azioni, in particolare sull’efficienza energetica, trasformando il mix della generazione di elettricità con la costruzione di più impianti che non emettono CO2 e sviluppando le tecnologie di cattura e sequestro del carbonio a costi accessibili.

Ovviamente, tutte le misure richiedono notevoli investimenti che intimoriscono alcuni paesi, tra cui l’Italia, che teme di compromettere la competitività economica delle imprese. E questo perché i sistemi di riduzione amministrati centralmente dall’UE sembrano produrre più risultati finanziari che ambientali.