Sarà l’aria dei mondiali di calcio, ma mi viene voglia di trovare qualche argomento consono alla questione.

Onestamente non c’è ancora granché, fino ad ora il gioco langue abbastanza e anche la nostra nazionale soffricchia (ndr: sto scrivendo qualche ora prima di Italia- Nuova Zelanda, speriamo vada meglio), però potrei parlare delle vuvzelas, quelle tremende trombette che accompagnano sonoramente ogni partita del sudafrica, ormai stanno diventando quasi una moda!

Il problema è legare questi fastidiosissimi strumenti musicali, se così si può dire, al tema socio-tecnologico di questa piccola rubrica; potrei provare ricordando che è già disponibile un programmino su i-phone che simula le vuvuzelas? Direi notizia scontata. Allora provo ad ardire un intreccio azzardato, ovvero tentare di capire se si possa sfruttare in un modo positivo questa tortura acustica.

Sì, si deve parlare di tortura se si pensa che pare abbiano misurato in 127 decibel la potenza di suono che può emettere una di queste trombe; riflettete un momento sul fatto che un’esposizione continua a rumori del valore di 85 decibel bastano a creare effetti irreversibili sull’udito e ditemi se vi sono ancora simpatiche!

Torniamo all’idea, in un momento della nostra storia in cui si cercano tutte le forme possibili di energia alternativa, dal solare, all’eloico, al geotermico etc etc, perché non ci si concentra su pensare a forme di produzione energetica anche attraverso l’acustica? Ovvero ottenere un beneficio nel momento in cui il temerario suonatore si azzarda a soffiare nella suddetta trombetta?

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Magari si riescono a tenere accesi i riflettori in campo senza spendere un euro di elettricità, chissà!?! Potrebbe essere anche un esempio per tutta l’Africa, dove l’energia tradizionale non è di così facile reperimento. Vi ricordate il “computer portatile di Negroponte”, destinato proprio ai paesi del terzo mondo a prezzo stracciato?

Non per nulla è dotato di una manovella, che serve per caricare una dinamo che permette l’alimentazione del PC. Ed è notizia molto recente anche quella di Nokia, che ha presentato il Bicycle Charger Kit, ovvero un kit che permette di assicurare il cellulare sul manubrio della bici, dove è posto un caricabatterie in serie ad una dinamo che, stavolta, è caricata dal moto dei pedali.

Più pedaliamo, più carichiamo, più telefoniamo, più ci stanchiamo, più dimagriamo! Insomma, questa potrebbe essere una bella idea anche per gli occidentali impigriti e sovrappeso, no? Magari di tanto in tanto, quando occorre fermarsi, si potrebbe caricare il cellulare anche con una bella suonata di vuvuzela, che ne dite?

Meditiamo, gente, meditiamo ….e Forza Azzurri …. 🙂

Tratto dall’editoriale della newsletter di DMO. Per iscriverti alla Newsletter registrati al portale cliccando qui

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