Alla ricerca dell’indipendenza:Open Source, standard aperti, etc…

Intervista a  Giacomo Cosenza, co-fondatore e presidente di Sinapsi Spa

Qual è il tuo lavoro e che legami ci sono con il mondo open source?
Attualmente presiedo Sinapsi Spa che ho co-fondato nel 1996 insieme ad altri tre ricercatori del laboratorio di intelligenza artificiale dell’AGIP Spa (oggi ENI),  dove avevo cominciato a lavorare a metà degli anni ’80. I miei legami con l’open source, ma allora non esisteva questo termine, nascono proprio li. All’inizio degli anni ’90 riuscimmo persino a imporre GCC come compilatore standard di tutte le applicazioni tecnico scientifiche della divisione Esplorazione dell’AGIP Spa.  

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Guardando indietro c’è da rimanere sorpresi che quasi 20 anni fa la più grande impresa italiana per capitalizzazione di borsa utilizzasse già l’open source, addirittura prima ancora che il termine fosse coniato.  Quando successivamente fondammo Sinapsi non avevamo soldi per comprarci macchine UNIX, che era l’unico sistema operativo che conoscevamo a fondo, e così installammo le prime versioni per x86 di Linux; il resto è venuto con il tempo e soprattutto dalla scelta di java come piattaforma di riferimento per le applicazioni che sviluppavamo per i nostri clienti. 

Credo che a tutt’oggi java sia uno degli ambienti più ricchi di pacchetti e semilavorati open source, all’epoca facevamo tutto molto inconsciamente, senza farci troppe domande, quelle sono arrivate più tardi, intorno al 2000.

Nei primi anni del suo impatto sul mercato, il fenomeno OSS ha avuto una evoluzione piuttosto rapida; dopo un periodo intermedio di apparente rallentamento, ora sembra avvertirsi una nuova ripresa: qual è la tua opinione in merito? 

Come per tutte le innovazioni, e l’open source lo è certamente sotto molti punti di vista, c’è sempre un momento di rallentamento dopo la fase dei  cosiddetti early adopter. Forse è ancora presto per affermare che questa  fase sia definitivamente alle spalle, ma i segnali del mercato sono parecchio incoraggianti. Indipendentemente da questi, però, ci sono  elementi strutturali delle licenze OSS che indubbiamente ne incentivano  l’adozione.  

Mi riferisco al cosiddetto “ASP Hole” di tutte, o quasi, le licenze OSS, se sei un erogatore di servizi, per esempio una banca, un  telco operator, o la pubblica amministrazione, usando l’OSS per erogare  i tuoi servizi puoi risparmiare non meno del 30% su costi di  investimento e persino di più sui costi operativi. A me sembra impossibile che i manager delle grandi imprese italiane e della pubblica  amministrazione facciano tanta fatica a capire le opportunità offerte  da tale tecnologia

In che modo l’adozione del OSS può aiutare le imprese a liberarsi della dipendenza dai fornitori di tecnologia? 

Ciò naturalmente dipende anche dalle attività delle imprese, più ci si allontana dallo sviluppo del software come attività principale più i  meccanismi che creano dipendenza dai fornitori sono difficili da rimuovere. Per fare un esempio molto semplice, se uso un client di posta elettronica che non mi consente di esportare in formato standard tutte le mie email, i filtri, le regole di anti-spam e via dicendo, migrare su un altro client di email diventa oneroso persino per noi tecnici, figurarsi per l’utente medio. Se poi quel client di posta gira su un  solo sistema operativo, la dipendenza si propaga ben oltre il client di posta elettronica.  Da solo l’OSS riduce i costi di investimento e i  costi operativi, ma l’effetto esplosivo si ottiene quando l’OSS implementa standard aperti.

La convergenza tra standard aperti e OSS minimizza la dipendenza  dai fornitori più di qualsiasi altra cosa e obbliga i software vendor tradizionali ad aggiungere valore ai loro prodotti che competono sugli  stessi standard con l’OSS.  Quando sento dire, e lo sento dire spesso,  che l’OSS ridurrebbe la competizione sorrido ironicamente, persino con  un poco di puzza sotto il naso, però mi preoccupo perché trattasi di  pettegolezzo. Il pettegolezzo è spesso più forte della verità, anche in  ambienti tecnico scientifici come il nostro, dove viene utilizzato per  screditare gli avversari. 

Se tu fossi dall’altra parte della barricata (un cliente) cosa faresti?

Non è questione di barricate. I miei clienti non sono i miei nemici e non ho mai accettato la militarizzazione del gergo del marketing e delle vendite. All’Arte della Guerra del cinese Sun Tzu continuo a preferire Il Principe di Machiavelli.
 

Ai miei clienti ci tengo e li voglio mantenere nel tempo. E voglio farlo senza introdurre artificiosi lock-in, per esempio per mezzo di formati e protocolli proprietari, ma offrendogli soluzioni e tecnologie che ritengo migliori per rapporto qualità/prezzo. E il miglior rapporto si trova laddove esistono implementazioni open source di standard internazionali aperti.  In Italia non esisto veri produttori di software che esportino all’estero, sono tutti o quasi erogatori di servizi applicativi, dagli operatori telefonici alle banche, passando per gli
operatori televisivi e per la pubblica amministrazione.Sono tutti come google. Anche google eroga servizi applicativi, solo che invece degli utenti a pagare è la pubblicità. E google come realizza i suoi servizi applicativi? Soprattutto con l’open source e grazie a questo tiene molto bassi sia gli investimenti che i costi operativi. Se fossi un erogatore di servizi, e non è detto che non lo diventi, non avrei dubbi. 

Una volta  Franco Bernabè, mi disse: “Mimmo, io conosco un solo modello di business, quello che fa diminuire i costi e aumentare i ricavi”. Ecco, per i ricavi mi affiderei a dei buoni venditori, ma per i costi non ho alcun dubbio.

L’open source ha già vinto. O pensate di essere più furbi di Google?