Siamo tutti pedofili?

Inizio con questa forte provocazione il mio articolo per mettere in luce come spesso la politica riesca ad usare tematiche di forte impatto sui cittadini come il rischio pedopornografico come scusa per elaborare leggi tese a limitare la libertà dei navigatori della Rete

Solo pochi mesi fa la Rete si è sollevata contro la SOPA, la proposta di legge del deputato americano Lamar Smith che voleva limitare la privacy dei cyber navigatori a tutela del copyright.

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Eppure ci risiamo, ed il protagonista è sempre lo stesso, che stavolta quasi in sordina ha elaborato il progetto di legge “Protecting Children From Internet Pornographers Act of 2011” (http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c112:H.R.1981:). Presentato nell’ottica della massima efficacia della repressione della pedopornografia, mira a introdurre un obbligo di data retention per 12 mesi, indirizzato a tutti i provider commerciali, con riguardo agli IP dinamici degli utenti. Questi dati dovrebbero essere accessibili soltanto da “governmental entities”, ma non è necessario un intervento di un Giudice: saranno direttamente gli agenti (se il progetto diverrà legge) a poter acquisire gli IP, “esclusivamente allo scopo di indagare i sex offenders”.

Questo progetto ha sollevato molte critiche negli stessi Stati Uniti, tanto che il Democratico John Conyers ha dichiarato che “This is not protecting children from Internet pornography. It’s creating a database for everybody in this country for a lot of other purposes”.

Abbiamo chiesto un’opinione all’Avv.Giovanni Battista Gallus sullo stato dell’arte in Italia – “Negli Stati Uniti, al momento, non esiste un obbligo di data retention,che è invece previsto in Europa dalla “Data retention Directive”(2006/24/EC) ed, in Italia, dall’art. 132 del Codice della Privacy, più volte modificato ed emendato, che prevede al momento la conservazione dei dati del traffico telematico per dodici mesi: questi dati possono essere acquisiti con decreto motivato del Pubblico Ministero.

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Anche nel Belpaese, peraltro, in attuazione della Convenzione di Budapest sul Cybercrime, è possibile che il Ministero dell’Interno (e dunque non un’autorità giudiziaria) ordini di “congelare” i dati del traffico telematico, per un breve periodo (novanta giorni prorogabili fino a sei mesi) “ai fini dello svolgimento delle investigazioni preventive previste dall’articolo 226 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, ovvero per finalità di accertamento e repressione di specifici reati.

Anche in questo caso, dunque, non c’è nulla di nuovo sotto il sole: la lotta alla pedopornografia (come la lotta al terrorismo dopo l’11 settembre) diventano un comodo pretesto per invadere in maniera significativa la privacy dei netizen.”

Cosa succede invece in Europa? L’anno scorso l’eurodeputato italiano Tiziano Motti in collaborazione con il famoso hacker Fabio Ghioni ha presentato al Parlamento Europeo il Logbox, lo strumento è paragonabile ad ”una scatola nera che registra, in forma di tabulato e in modo criptato, le attivita’ di un determinato computer eseguite dall’utente, come per esempio il tempo di connessione a Facebook. Vogliamo che Logbox diventi parte di tutti i sistemi operativi su ogni computer nell’Unione europea”, ha sottolineato Ghioni all’ANSA.

La grande obiezione che arriva, in larga parte dal Nord Europa, e’ sulla privacy che potrebbe essere violata, ma Motti e Ghioni negano: ”Cosi’ come la scatola nera di un aereo viene aperta solo dopo un evento critico, anche i dati raccolti da Logbox verrebbero decriptati in caso di stretta necessita”’.

Su questo punto è molto critico l’Avv. Francesco Paolo Micozzi esperto di cyberlaw – “Il contrasto alla pedopornografia è, purtroppo, spesso solo un facile pretesto finalizzato all’introduzione di soluzioni tecniche liberticide che nulla hanno a che vedere con esso o che alcun risultato in termini innovativi possono apportare nella lotta alla piaga dello sfruttamento dei minori nella produzione di materiale osceno.

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Il principio dell’uomo di cristallo secondo il quale “chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere” non può funzionare in una società moderna in cui gli strumenti di indagine informatica esistono già e sono

effettivi ed in cui la tecnologia ha completamente pervaso ogni istante dell’esistenza umana. Quali garanzie sul contenuto e sulle modalità di utilizzo dei dati registrati da questa “scatola nera”? Perché, ragionando analogamente, non costringere, allora, ogni persona a circolare con una telecamera sulla testa e uno strumento RFID impiantato sottocute al fine di prevenire, oltre ai reati di pedopornografia, anche altri reati – altrettanto gravi – come ad esempio le violenze sessuali o gli omicidi?

Il dibattito su questi temi non sarà mai semplice né scevro di pregiudizi o ideologie, è difficile prendere una posizione univoca in un senso o nell’altro. Non si può scegliere tra il proibizionismo e la libertà incondizionata, forse servirebbe un po’ di buon senso in più da parte del legislatore per individuare soluzioni di compromesso tra le varie posizioni e meglio ancora delle pene che siano certe e dure per chi come in questo caso offende i bambini utilizzando in maniera dolosa la cosa più bella che hanno la loro ingenuità.