Google Latitude e la Privacy

Mercoledì è stato lanciato dalla Google Inc. in 27 Paesi – Italia compresa – un nuovo applicativo che interagisce con il già noto “Google Maps”. Il suo nome è “Latitude”. Pubblicizzato come un nuovo strumento che permette di condividere la propria posizione con parenti e conoscenti, è un vero e proprio geo-localizzatore alla portata di chiunque, senza necessariamente essere dotati di un ricevitore GPS; a sostituirsi a questo ci pensano, con minore accuratezza, celle GSM e access-point wireless. Questa tecnologia è disponibile per tutti coloro che possiedono un dispositivo mobile in grado di supportare “Google Maps per Mobile 3.0 ovvero quei modelli che utilizzano Symbian S60, Windows Mobile 5.0, quasi tutti i Blackberry e presto sarà disponibile anche per cellulari abilitati Java, per l’iPhone ed per un suo possibile antagonista, il “G1” … insomma praticamente per tutti. È sufficiente effettuare il login in “Google Maps” dal proprio terminale, attivare il servizio ed invitare i propri amici. E’ possibile impostare due livelli di precisione su come farsi individuare: “migliore posizione” o città in cui ci si trova. Anche la tutela della privacy è stata tenuta da conto: si può scegliere di farsi trovare da tutti i contatti, solo da alcuni o da nessuno e, se proprio si vuol far perdere le tracce di sé, c’è un’opzione che permette di impostare manualmente una qualsiasi posizione. L’iniziativa è vista di buon occhio da quei genitori, che per motivazioni più che valide, sono intenzionati a “seguire” i propri figli; c’è, però, anche chi ci ha visto un ottimo mezzo per spiare qualcuno a sua insaputa. Giovedì, infatti, appena il giorno dopo l’esordio, la “Privacy International”, un’organizzazione internazionale che si occupa di vigilare sulle violazioni della privacy, ha controbattuto alle dichiarazioni di un responsabile di Google rilasciate in un blog dove aveva sottolineato l’utilità di sapere se il proprio coniuge è bloccato nel traffico piuttosto che atterrato sano e salvo dopo un lungo volo. La replica della onlus è invece fondata sull’evenienza di un utilizzo distorto e malizioso del pedinamento digitale. Basti pensare a cosa accadrebbe se un marito geloso guadagnasse l’accesso al telefono della moglie: in pochi istanti potrebbe attivare il servizio all’insaputa della consorte e osservare ogni suo spostamento. Non da meno, poveri dipendenti spiati dal proprio datore di lavoro che, con grande stupore ed inimmaginabile magnanimità, magari li ha dotati di un cellulare fiammante. Questi sono solo alcuni degli scenari prospettati dai vigilantes della privacy che non hanno esitato ad affermare di come il livello di pericolo per l’intimità degli utenti è direttamente proporzionale all’immaginazione di chi abusa di queste tecnologie

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