NUOVO FIATO ALLA VOCE DELL’INDISCREZIONE

Un passo indietro ha fatto Jeffrey White, giudice federale californiano, circa il provvedimento preso nell’ambito della causa intentata da un istituto di credito svizzero del gruppo Julius Bear & Co. nei confronti dei rappresentanti di wikileaks.org.

In questo spazio virtuale è consentito, come avviene per il più noto Wikipedia – con il quale peraltro, non sembrerebbero esservi legami – pubblicare, modificare, consultare e commentare diverse notizie.
La particolarità sta nel fatto che le informazioni diffuse perlopiù trattano materiale riservato e che i maggiori foraggianti di questo archivio di rivelazioni inquietanti – che ammonta ad oltre 1.200.000 documenti – sono dissidenti di imprese ed enti governativi.
In Italia la cronaca di alcuni mesi fa aveva già parlato di un altro episodio che vedeva wikileaks.org come protagonista: un anonimo navigatore aveva divulgato on-line un vademecum – classificato dai compilatori come “confidential” – di 230 pagine riportanti le regole di comportamento da osservare all’interno del carcere di Guantanamo.
Attualmente invece la vicenda vede la Julius Bear & Co. reclamare la pubblicazione illegittima sul sito di una carta che rivelerebbe il coinvolgimento della banca in attività fraudolente – frode fiscale e riciclaggio – di propri clienti nelle Isole Cayman, che comporterebbe, di conseguenza, un’influenza negativa sull’esito di altre dispute legali in corso in Svizzera.
La corte in merito si pronunciava ordinando alla statunitense Dynadot – la cui unica colpa è quella di offrire la registrazione di nomi a dominio – di disabilitare la risorsa e di congelarne il contenuto.
La decisione assunta ha mandato su tutte le furie alcune associazioni della libertà civile e una ampia schiera di avvocati che l’hanno commentata come una violazione della libertà d’espressione senza precedenti al pari di una chiusura di una testata giornalistica a causa di un articolo sconveniente.
Il giudice White, dopo tre ore di udienza, ha ritirato l’ordinanza sostenendo che la sua esecuzione implicherebbe una violazione del Primo Emendamento.
Ha, altresì, rigettato l’istanza con la quale il denunciante richiedeva la rimozione delle pagine riportanti i documenti bancari.
E’ stata anche ipotizzata una incompetenza giurisdizionale in quanto non sarebbero stati apportati elementi sufficienti per far ritenere che wikileaks.org ed i suoi responsabili siano di stanza negli Stati Uniti.
Effettivamente il server è ospitato da un ISP svedese ed il titolare del sito, che per mezzo del suo legale ha dichiarato di non averne più il controllo, è di origine australiana e attualmente risiede in Kenya.
White ha aggiunto anche come qualsiasi disposizione contro l’”Internet posting” sia inefficace, considerando come un documento trasmesso in Rete diventi immediatamente di dominio pubblico.
La dimostrazione è data dal fatto che il sito web – anche durante il periodo di efficacia dell’ordine di oscuramento – è rimasto comunque disponibile, digitando, in luogo del suo URL, il corrispondente numero IP – 88.80.13.160 -.

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