Social Media Emergency Management

Questo articolo nasce così: martedì sera ero davanti alla televisione a seguire lo speciale di La7 condotto da Mentana e relativo all’alluvione che ha provocato 16 morti in Sardegna. Quasi alla fine, Mentana si scusa con i telespettatori per averli informati quasi con 24 ore di ritardo (le piogge sono iniziate lunedi 18 novembre nel pomeriggio), la motivazione era più o meno “ci scusiamo ma dove è successo l’alluvione ci sono piccoli paesi e non era facile ricevere le informazioni”

Quest’affermazione mi ha lasciato perplesso, nel 2013 dove tutto è immediato, dove ognuno sa chi fa cosa, non riusciamo a canalizzare le informazioni relative a un’emergenza?

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A dire il vero ho letto nei giorni seguenti molti articoli che criticavano la mancanza di informazioni e il non uso dei social media per informare i cittadini, vorrei però soffermarmi su cosa realmente si potrebbe fare utilizzando correttamente questi strumenti, visto che oltre a essere diffusissimi, sono anche geolocalizzati.

Partiamo da Twitter; c’è la possibilità, in casi di emergenze, di inviare una Emergency Disclosure Request per richiedere informazioni in merito a persone in pericolo di vita.

Sempre Twitter ha rilasciato a fine settembre invece i “Twitter Alerts”, l’idea è banale: un utente che è interessato a ricevere alert da un ente che gestisce le emergenze, ha la possibilità di ricevere alert su fenomeni importanti che stanno per succedere, avendo anche la possibilità di ricevere un sms testuale (ad esempio si può vedere il caso della FEMAFederal Emergency Management in America). Un’associazione o un’istituzione che sia interessata a sottoscrivere gli alerts di Twitter può registrarsi qui. Circa una settimana fa, il governo UK ha deciso di adottare questo strumento per gestire le emergenze. Qui l’elenco completo di chi sta utilizzando fino ad ora il servizio: chiaramente nessun italiano!

Google porta avanti il progetto Crisis Response che in caso di disastro, valuta la gravità e la portata del disastro e l’importanza dei loro strumenti per la situazione per stabilire 
se e come rispondere. Ad esempio: Creazione di una pagina di risorse con informazioni e strumenti di emergenza, avvio di Google Person Finder per connettere le persone con amici e persone care.

Google Person Finder è molto utile, soprattutto per le fasi subito successive a un evento, è una web application che permette di ricercare persone dopo un evento tragico, ad esempio la Maratona di Boston. Sempre in quel caso ci fu un uso importante dei tweet che venivano in tempo reale geolocalizzati e che davano in maniera visuale e immediata la percezione di quel che stava accadendo – Emotional Tweet Map of Boston Marathon Bombings. Per analisi simili si può usare anche Geofeedia (video d’esempio).

Girando in Rete ho scoperto che esiste una disciplina, Social Media Emergency Management, molto sviluppata negli USA; consiglio di visitare questo il sito Social Media 4 Emergency Management dove trovare molte risorse utili e approfondimenti, oppure di visitare idisaster 2.0, dove tra l’altro è possibile trovare una bibliografia di tutte le apps utilizzabili in casi di emergenza. Lontani dagli USA, un’altra best practice è l’app utilizzata dall’Australia.

E in Italia? Beh, come dimostrano gli eventi appena successi siamo indietro, nonostante il lavoro di molti volontari. Segnalo tre iniziative interessanti:

Tutte e tre le testimonianze citate, oltre a essere interessanti come contenuti, mi hanno colpito perché affermano un principio importante, ovvero non basta la tecnologia, ma bisogna costruire un processo relativo alla comunicazione in caso di emergenze, si deve partire dal prima per riuscire poi a comunicare in modo efficace durante una crisi.

Condivido in pieno ciò che scrive Elena Rapisardi nel sul blog – “Si dovrebbe riflettere su un utilizzo del web 2.0 più strutturato e consapevole, come strumento in più (e non sostitutivo) a supporto dell’informazione di protezione civile prima, durante e dopo un disastro. “Strutturato” significa organizzato, gestito, coordinato, con obiettivi e task precisi e mirati. “Consapevole” significa competente sia del fenomeno che delle procedure, sia del vocabolario (le parole da usare) che dei propri limiti, sia della tecnologia che della comunicazione”.

Bellissimo il suo riferimento all’articolo accademico “Citizens as Sensors” di Michael Goodchild, “cittadini sensori, sensori significa che sono sentinelle del territorio, e non cantori del territorio quando ormai il danno è successo, o per auto promuoversi. Monitorare come sensore il territorio significa contribuire a leggere e interpretare il territorio”.

Forse la chiave di tutto siamo proprio noi che dobbiamo prendere consapevolezza del nostro dovere civico e iniziare a essere parte attiva del sistema. Il percorso è ancora lungo in un Paese come l’Italia dove anche le aziende hanno difficoltà a capire il reale valore dei social media per il business, figuriamoci per il settore no profit.

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