YouTube, il sito di condivisione video avviato senza troppo clamore nel 2005 da tre ex impiegati di PayPal, si è presto trasformato in un fenomeno destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della cultura popolare, oltre che in quella del business.

You Tube, il libro dei due studiosi australiani Jean Burgess e Joshua Green (Egea, 2009, 182 pagine, 16,50 euro) vede nel sito, oggi proprietà di Google, una piattaforma per l’autoespressione pubblica, un’icona della rivoluzione web 2.0 e un’impresa che ha la capacità di aumentare il valore dell’informazione prodotta altrove e di beneficiare, perciò, anche i creatori originari di questa informazione.

Il libro analizza la copertura mediatica dedicata a YouTube (e la giudica un po’ banale, legata com’è quasi esclusivamente agli aspetti di business e di trasgressione) e l’utilizzo che della piattaforma fanno i suoi utenti, soprattutto quelli più assidui, che si caratterizzano come una vera e propria comunità.

I due autori respingono la visione per cui YouTube sarebbe solo una piattaforma per la distribuzione e la promozione e appoggiano quella di un sito promotore di cultura partecipativa.

L’analisi dei video più visti, più discussi e dei canali con un numero maggiore di abbonati dimostra che la semplice visione premia i prodotti commerciali, come i video musicali, i trailer dei film e gli spezzoni televisivi, ma la vita profonda della comunità (riscontrabile nel dibattito sui video) ruota intorno alla produzione degli utenti.

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“La creazione dei contenuti”, sostengono Burgess e Green, “è probabilmente molto meno importante degli usi di quei contenuti all’interno delle diverse configurazioni del social network”.

YouTube, con il caricamento continuo, da parte dei fan e delle case di produzione, di vecchi video soprattutto musicali prima praticamente introvabili, si sta trasformando in un importante repertorio di cultura popolare (“è facile esaurire la propria quantità di nostalgia prima di esaurire la disponibilità di materiale vintage presente in YouTube”), ma la gran parte degli utenti sembrano prendere alla lettera il motto “broadcast yourself” (“trasmetti te stesso”) e mirare alla visibilità personale, almeno entro i confini della comunità che fa riferimento al sito.

D’altra parte, considerano i due autori, “YouTube è un’entità sufficientemente grande e amministrata in maniera sufficientemente lasca, che può essere quasi qualsiasi cosa i suoi partecipanti vogliano che sia”.

Con la certezza, comunque, che una cultura YouTube si è già sviluppata attraverso generi video nuovi, come il vlog o il montaggio di materiali altrui.