Utilizzare la criogenia per salvare i pazienti colpiti da infarto

Negli USA è stata sperimentata una tecnica di ibernazione che permette ai medici di curare persone colpite da attacchi di cuore dando loro più tempo per operare

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Può capitare che a causa di un intervento non tempestivo o per la gravità dell’attacco, un paziente colpito da infarto possa avere i minuti contati. I ricercatori dell’Upmc Presbyterian Hospital di Pittsburgh hanno pensato di utilizzare la criogenia, o “animazione sospesa”, per dare ai medici più tempo per intervenire e salvare delle vite. “Se un paziente arriva due ore dopo la morte non si può fare nulla, ma se sta morendo e si può interrompere il processo, forse c’è una chance per lui”, ha spiegato Samuel Tisherman, coordinatore dello studio.

L’esperimento

I ricercatori hanno sperimentato sui maiali una tecnica che prevede la sostituzione del sangue con una soluzione salina a bassa temperatura (circa 10 gradi) che blocca l’attività cellulare. In questo modo, l’attività neurologica e del cuore, che può diventare lui stesso la batteria di un pacemaker, vengono sospese per circa 2 ore, permettendo così ai medici di avere più temo per intervenire. Una volta conclusa l’operazione, il sangue viene reimmesso e il cuore ricomincia a battere.

Tisherman ha voluto sottolineare che in questo caso non si parla di stati di ibernazione come quelli che si vedono nei film di fantascienza: “Noi stiamo cercando di salvare vite, non di impacchettare le persone per mandarle su Marte. Forse un giorno qualcuno scoprirà qual è il limite, ma ci vorrà ancora molto tempo”.

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