Nella nuova fattoria

Zerododici: software nel cloud, per il cloud. La piccola realtà padovana, nutrita dalla cultura degli Amazon web services, lancia l’idea di “DriveFarm”, un disco virtuale pensato per le esigenze di gestione documentale della PMI

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Un’idea portata avanti senza i cospicui investimenti in equipaggiamento hardware che sarebbero stati inevitabili prima del cloud computing. Ma anche un modello di impresa e di go to market alternativo, persino rispetto all’ormai classico percorso della startup che insegue – con scarso successo in Italia, bisogna ammettere – i capitali di rischio necessari per finanziare inizialmente un’idea. Quello escogitato da Stefano Dindo e dai suoi colleghi di Zerododici è un concetto diverso, che prevede piuttosto una struttura leggera e double-face, in grado di offrire servizi informatici aziendali proprio per finanziare un nuovo prodotto.

Il prodotto si chiama DriveFarm e grazie a esso Zerododici (un nome che non ha nulla a che fare con Benetton, ma molto più semplicemente con l’anno di nascita della piccola società padovana) è diventata uno dei protagonisti dei “percorsi dell’innovazione” a Smau ed è stata chiamata a far parte del ristretto gruppo di realtà nazionali, che hanno animato, a fine settembre, l’evento organizzato a Roma da TechCrunch Italia Drive Farm. «Il prodotto – racconta Dindo – è nato dalle nostre analisi sui problemi che affligono soluzioni di disco virtuale come Drop Box, quando questo servizio deve essere utilizzato in un contesto professionale o aziendale. Non solo. «Lo spazio virtuale messo a disposizione da questi servizi sul cloud è fortemente orientato a un impiego individuale» – osserva Dindo. Mancano, invece, tutte le funzionalità di amministrazione, controllo e reportistica, che sono state implementate nella piattaforma cloud firmata Zerododici.

INGEGNERI IN CERCA DI FUTURO – «Siamo quattro ingegneri e tutti e quattro lavoravamo, fino a poco fa, per la stessa azienda specializzata in software per la logistica» – racconta Dindo. Colleghi e amici che ovviamente mostrano una grande passione nei confronti del futuro del loro settore, in uno scenario dominato da due parole chiave “forti” come cloud e mobilità. «Alla fine abbiamo deciso di costruire sulla base di questa esperienza condivisa qualcosa di nostro, cercando di mettere insieme il tempo necessario per accumulare le necessarie competenze, proseguire il lavoro di fornitura di servizi ai nostri clienti e progettare e realizzare Drive Farm». Tutto nasce in un contesto cloud e si appoggia sugli Amazon web services. Al tempo stesso, DriveFarm è stato pensato – più in chiave di platform as a service – piuttosto che come un generico servizio applicativo, proprio perché indirizza le esigenze che può avere anche una organizzazione aziendale di dimensioni ragguardevoli, sul piano della gestione documentale.

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«Una delle problematiche più sentite da molte aziende riguarda proprio la conservazione del patrimonio documentale, quell’insieme di informazioni accumulate non solo da titolari e inventori, ma anche dai loro dipendenti. Gruppi di lavoro che – al giorno d’oggi – hanno un grande turn over e che devono adattarsi al continuo scambio con il mondo esterno». La complessità è intorno a noi e deve essere governata con un occhio sempre aperto all’aspetto fondamentale della riservatezza, della copia autorizzata dei file, delle fughe di informazioni: informazioni sui prodotti, dettagli tecnici che rischiano di sparire quando un dipendente va in pensione o passa a un’altra azienda, prospetti e cataloghi da mettere a disposizione dei clienti. «Una complessità – sottolinea Dindo – che spesso non viene neppure affrontata da servizi come Drop Box», ma che il software sviluppato da Zerododici sul cloud e per il cloud, indirizza proprio per sua natura. «Con Drive Farm, l’amministratore è in grado di definire dei profili utente molto dettagliati, stabilire quali di questi utenti sono autorizzati ad accedere o a scambiare le informazioni, bloccare completamente l’accesso ai dati più riservati, persino decidere quali documenti sono consultabili attraverso la app mobile, che abbiamo sviluppato inizialmente per iPhone e presto renderemo disponibile per Android».

SU CLOUD, MA IN PIENO CONTROLLO – Le caratteristiche che fanno di DriveFarm una vera e propria piattaforma di gestione documentale non si limitano alle fasi di amministrazione e controllo dei flussi. Con le app mobili per esempio, sono state implementate delle funzioni di geolocalizzazione che individuano automaticamente gli utenti con cui condividere le informazioni. «Ma ci sono tanti altri ambiti da esplorare – aggiunge Dindo. Ci affascina per esempio l’idea di integrare funzioni di intelligenza artificiale per assistere l’utente a mettere in relazione i documenti o a comprendere meglio l’importanza di alcune informazioni rispetto ad altre». In questo senso – per il co-fondatore e amministratore di Zerododici (gli altri soci sono Roberto Contiero, Simone Maratea e Daniel Sperotto) – «la partecipazione a eventi come la Tech Crunch Italy, sono un’importante opportunità di confronto e di potenziale allargamento del business e delle relazioni con il mercato nel suo complesso».

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“Relazione” del resto è la terza parola chiave di questa storia. Zerododici non è la classica startup appoggiata a un incubatore e determinata a individuare un vero e proprio finanziatore, ma la società ha comunque voluto inserirsi in un contesto di “rete” che la vede in questo momento collaborare – in modo molto informale, ma estremamente proficuo – con altre due realtà dell’area padovana, Allos e Nextep, specializzate, rispettivamente, in consulenza a progetti di e-learning e realizzazione di campagne di comunicazione e marketing. Le tre entità hanno stipulato una sorta di “gentlemen agreement”, che comporta un continuo scambio e la condivisione di idee e progetti comuni. «Si parla molto di reti di imprese e noi cerchiamo di interpretare quello che potremmo chiamare un “gentlecompany agreement” in tutti i modi possibili. E’ un contesto interessante perché richiede molta apertura mentale, ma non è facile perché significa anche discutere tra noi, significa saper distribuire le informazioni su ambiti molto diversi» – conclude Dindo. Ciascuna delle tre realtà aziendali mantiene le sue prerogative e la propria organizzazione interna, ma alcune attività sono condivise e molti punti sono comuni.

MEGLIO IN RETE – L’atmosfera creata da questa cooperazione senza troppi vincoli deve essere proficua. L’intero progetto DriveFarm è stato sviluppato a tempo record – in cinque mesi di lavoro – e il servizio è già in produzione in due diversi “gusti”: uno più aziendale – venduto attraverso un canone mensile rinnovabile calcolato in base al numero di utenti e alle dimensioni del disco virtuale utilizzato – e uno che prevede anche una utenza privata con il tipico modello freemium, con 250 MB di spazio gratuito e un fee da versare in caso di necessità di spazio più corpose. Il target primario è quello degli studi professionali e delle piccole aziende, da due a 50 dipendenti, ma DriveFarm si adatta molto bene anche alle esigenze dipartimentali di organizzazioni più grandi. E soprattutto dimostra in modo esemplare, l’incredibile potenziale di una tecnologia – il cloud computing – che sembra fatto apposta per premiare le capacità creative e lo spirito imprenditoriale in tipico stile “made in Italy”. Dove piccolo è bello, ma in Rete è anche meglio.

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