Charlene Li The new normal

Il mezzo, il messaggio e la relazione. La “normalità” della nuova grammatica della comunicazione “social”

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Il mezzo è il messaggio. Lo abbiamo imparato. L’assioma di Marshall McLuhan ha dominato il dibattito sulle regole della comunicazione. Con l’avvento del Web 2.0 i termini dell’equazione – però – non coincidevano più. A scompaginare i diktat dei cosiddetti esperti sono arrivati i social network, che hanno rimesso “la relazione” al centro della comunicazione. Se provate a parlare con qualunque amministratore delegato o direttore marketing, vi sentirete ripetere parole come “apertura” e “partecipazione”. Se provate a fare un giro in azienda – in certi casi – scoprirete che i dipendenti non hanno alcuna idea di quale sia la strategia aziendale – oppure – che l’accesso al Web, dalla postazione aziendale, non è consentito. Se – invece – provate a cercare notizie su qualunque prodotto, dall’auto al libro, potreste incappare in commentatori di professione. Allora di che cosa stiamo parlando? La società dell’informazione e della comunicazione globale sta diventando autistica? Intanto, nel mondo dell’impresa, dilagano le campagne di “lead nurturing”. Il contatto è il principio, ma non è detto che la relazione sarà promettente. Per “educare” il cliente, l’informazione non basta. I clienti non sono campi da arare e seminare a piacimento a ogni stagione. In agricoltura, la rotazione del terreno e la selezione delle colture sono fondamentali. Forse, alcuni direttori marketing dovrebbero fare uno stage in fattoria. “Coltivare” il cliente richiede un approccio basato sulla conoscenza dei dati, sulla relazione, ma soprattutto sull’ascolto.

Quando parliamo di social network il riferimento obbligato è Facebook con i suoi 800 milioni di utenti in giro per il mondo, ma la lista è lunga. Se l’approccio all’economia del “mipiace” resta quantitativo, avremo – però – perso una grande occasione. “Ascoltare il cliente” è diventato un mantra, ma le aziende hanno imparato a farlo, veramente? Abbiamo girato la domanda a Charlene Li (www.open-leadership.com), Fondatrice di Altimeter Group, tra le cinquanta persone più influenti della Silicon Valley. Laureata all’Harvard Business School, Charlene Li è autrice del libro “Open Leadership” (in Italia pubblicato da Rizzoli Etas).

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«Le aziende devono rinunciare alla pretesa del controllo, per mantenere il comando».

 

Data Manager: I social network sono uno strumento potente. Le aziende sono all’altezza di questa sfida?

Charlene Li: Alcune aziende stanno facendo scuola. Altre devono ancora imparare la lezione.

Dell, per esempio, organizza corsi per i propri dipendenti sul valore dei social network. A tutti è noto il caso del “flaming notebook” di Osaka. Nel 2006 l’immagine di un computer Dell che prese fuoco per il malfunzionamento delle batterie. Un bel problema da gestire. All’epoca, non erano ancora così diffusi Facebook e Twitter. Dell non cercò – però – di nascondere la notizia. Al contrario, creò un blog con le stesse immagini circolate nella blogosfera e con tutte le istruzioni sui modelli a rischio. Dell trasformò una situazione difficile in un punto di forza, puntando tutto sulla trasparenza e il dialogo.

“Ascoltare il cliente” è diventato un mantra, ma le aziende hanno imparato a farlo, veramente?

Se le aziende fossero, davvero, in grado di ascoltare la voce dei clienti ogni giorno, l’impatto sui bilanci sarebbe enorme. Certo richiederebbe uno sforzo gigantesco in termini economici e di tempo, ma il ritorno sarebbe esponenziale. Chi passa tempo in Rete sa che essere ascoltati è un valore.

Le imprese devono imparare che la gente non vuole ricevere messaggi, ma essere ascoltata.

Non basta un servizio clienti online, ma è necessario comprendere le esigenze attraverso un dialogo attivo. Saranno i clienti a cercare la relazione con l’azienda di cui si fidano.

 

I social network possono essere cattivi maestri?

Tutto ciò che è eccessivo può avere un’influenza negativa. Bisogna esercitarsi a trovare un equilibrio nell’uso di questi strumenti, con un occhio particolare ai bambini e agli adolescenti, che non devono essere lasciati da soli. Per esempio, a casa mia, abbiamo deciso di spegnere tutti i dispositivi elettronici, tra la cena e il momento del sonno. Io e i miei due figli siamo appassionati di puzzle, ma quando usiamo gli strumenti elettronici, lo facciamo insieme. Se c’è la Tv da guardare lo facciamo insieme. L’impatto di Internet e i social media sull’educazione è molto forte. Nella scuola di mio figlio si utilizzano i blog: la maestra pubblica le storie e i ragazzini le commentano.

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In un’importante software house italiana, i dipendenti non hanno il permesso di avere un account pubblico sui social network. Lei che cosa ne pensa?

Se l’alibi è la sicurezza, queste aziende dovrebbero sapere che l’unica garanzia è la formazione delle persone. In realtà, questo tipo di decisioni nasconde un problema di management: se non sei capace di convincere i tuoi dipendenti a non abusare di questi strumenti, alla base c’è un problema di rapporto, non di sicurezza.

Che relazione c’è tra la domanda di democrazia nel mondo e la diffusione dei social network?

Le rivoluzioni hanno sempre utilizzato le tecnologie disponibili: nel 1979, in Iran, si è usato il fax, nel 1991, nelle Filippine, gli Sms. Ora, si usa Twitter o Facebook. È sorprendente quanto la tecnologia sia decisiva per fare le rivoluzioni.

Anche quella delle donne al potere è una rivoluzione. Il mondo è nelle mani delle donne?

Le donne hanno sempre più potere fuori. Ma il loro vero potere è in casa. Non c’è nulla da temere e gli uomini dovrebbero apprezzarlo, non sentirsi minacciati. L’ottanta per cento delle spese familiari è sotto il controllo delle donne. Gli inserzionisti si sono resi conto che devono raggiungere il pubblico femminile tra i 35 e i 45 anni. Sono le donne a detenere il potere di acquisto. Dal punto di vista politico l’influenza femminile sta crescendo molto negli Stati Uniti, meno in Italia.

Brasile, Argentina e Germania hanno dei premier donna. In America Latina le donne stanno acquisendo molta importanza. Dove non si registra lo stesso fenomeno, esiste un problema culturale e quindi il sistema è difficile da modificare.

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Che cosa si può fare?

Nel caso di una mamma che lavora, ha grande importanza il ruolo del marito o compagno. Le ricerche dimostrano che la dimensione della cura familiare resta una prerogativa femminile.

Quanto possa essere sostenibile un modello di questo tipo, nella società contemporanea, non saprei. La questione dell’accesso delle donne nel mercato del lavoro, non è un problema di cura dei bambini o di luogo di lavoro, ma rappresenta un problema sociale ed economico.

Qual è lezione più importante che possiamo imparare dalla tecnologia?

L’umiltà. La conoscenza è un processo continuo. Io sono costantemente umiliata dal potere della tecnologia – in senso positivo – è chiaro. Ho un senso di meraviglia e anche di rispetto per il potere che la tecnologia ha di cambiare tutto ciò che circonda.

E la lezione più importante che ha imparato nella vita?

Che le radici sono tutto. La famiglia per me è importantissima. Sarei distrutta se succedesse qualcosa alla mia famiglia. Grazie ai valori, che i miei genitori mi hanno insegnato, sono diventata la persona che, ogni mattina, guardo allo specchio. I valori sono importanti. Pensiamo al coraggio di Dell di mettere sul piatto della competizione il valore della trasparenza.

Che cosa le piace degli italiani?

L’entusiasmo delle persone, che è una risorsa anche per il mondo degli affari. Il mondo degli affari è sempre un po’ arido. Gli italiani riescono a essere calorosi e ottimisti, sanno apprezzare la bellezza della vita e la sanno creare. E poi adoro il cibo e il vino, naturalmente.

Non mi piacciono la testardaggine e il fatto che siano gli italiani, i primi a parlare male degli italiani stessi. E poi il traffico – forse – si potrebbe fare qualcosa per migliorarlo.