Semplicemente Cloud


Il nuovo paradigma elaborativo tra presente e futuro. In questo dossier andiamo ad affrontare diverse problematiche relative a tale argomento. Prima di tutto quali sono i vantaggi che potrebbero far progressivamente decidere le aziende nel considerare investimenti over the Cloud. Successivamente vedremo il percorso di migrazione dell’IT tradizionale verso nuove formule di computing on demand, per poi approdare a come le nuove strutture di data center cambiano le dinamiche dell’industria dell’Information Technology. Infine

la nostra attenzione sarà incentrata su come il know how e l’esperienza di virtualizzazione acquisita nel corso degli anni permettono oggi alle aziende di prendere in considerazione ambienti fortemente Cloud oriented

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Semplicemente Cloud

La vita di ciascuno di noi è immersa, consapevolmente o inconsapevolmente, nel Cloud computing: servizi di posta elettronica, social networking, VoIP, qualsiasi applicazione che utilizziamo quotidianamente ha un suo canale di comunicazione, Internet, e un suo data center di riferimento, poco importa se vicino o lontano. L’affermazione del Cloud non è un qualcosa che appartiene al futuro, è il presente e convive in parallelo alle infrastrutture e servizi dei data center delle organizzazioni IT tradizionali. La scommessa vera è se il Cloud possa diventare il sostituto, quantomeno parziale, del modello proprietario attualmente in esercizio.

In base ai dati forniti da IDC, il numero di server installati nella dimensione Cloud è prevalentemente legato alla sfera del C2C mentre le dimensioni B2C e B2B assorbono soltanto una quota pari a circa un terzo dei volumi complessivi. Le dinamiche evolutive prospettate indicano però un progressivo aumento della potenza di calcolo nelle aree di business.

Quali i vantaggi che potrebbero far progressivamente decidere le aziende nel considerare investimenti over the Cloud? Come sempre accade, la motivazione è soprattutto legata ai costi e alla diminuzione della complessità da gestire. Eppure, nonostante l’inevitabile contrapposizione tra nuove e vecchie logiche, l’evoluzione tecnologica con cui si misureranno le aziende sembra ormai segnata. E se uno dei possibili freni all’espansione di questo modello è la mancanza di fiducia in termini di sicurezza e affidabilità, possiamo stare tranquilli che chi ha l’interesse di perseguire l’obiettivo del computing on-demand non tarderà a mettere a punto un’offerta adeguata. Il tutto è comunque in divenire e potremmo considerare l’attuale fase di sviluppo come espressione di un modello ibrido dove si coniuga presente e futuro e all’interno del quale si sperimentano nuove tecnologie senza per questo rinunciare alle fondamenta dell’IT tradizionale.

 

I driver di mercato

Come definire il Cloud? Molto semplicemente come lo stato dell’arte dell’evoluzione informatica. Dopo il mainframe, il client-server, Internet, la virtualizzazione, siamo arrivati a un nuovo inflection point, ovvero a un’ennesima rottura degli schemi consolidati. È tuttavia un fenomeno che si manifesta in modo del tutto diverso rispetto a quanto avvenuto in passato. Il Cloud non è associato a una singola tecnologia ed è innescato per lo più da una concomitanza di fattori che attengono soprattutto allo scenario competitivo.

Il difficile contesto economico in cui si trovano a operare le aziende e la progressiva trasformazione delle regole di mercato obbligano infatti le organizzazioni a intervenire per riconquistare nuova efficienza e competitività. Questi obiettivi sollecitano le direzioni IT a stabilire un rapporto più stretto con il business e a dare risposta alle priorità strategiche delle aziende. Significa puntare a una razionalizzazione e consolidamento delle risorse esistenti e, nello stesso tempo, introdurre una logica che potremmo definire di “business technology” ovvero di allineamento tra tecnologia e business. Non esistono progetti IT, ma progetti business che vengono abilitati dalle tecnologie. In risposta a uno scenario economico sempre più complesso e competitivo, la ricerca di un aumento di produttività appare alle aziende come uno degli elementi decisivi per rendere più efficienti le proprie organizzazioni e migliorare la redditività. Obiettivo, quest’ultimo, strettamente legato alla capacità di ottimizzare i processi attraverso investimenti orientati all’IT.

La capacità di raggiungere maggiori livelli di produttività, in altre parole fare di più con meno, è la sfida con cui si confrontano tutte le organizzazioni e il Cloud si candida a essere una leva strategica nell’assecondare il perseguimento di questi obiettivi. Gli interventi propedeutici all’affermazione del Cloud – consolidamento, virtualizzazione, automazione e self provisioning – sono del resto stati intrapresi nel tempo per risolvere problemi strutturali dell’IT, quali duplicazione e ridondanza delle risorse, inefficienze, aumento di costi e mancanza di flessibilità.

Se si riflette sul fatto che la maggioranza dei budget IT è ancora prevalentemente dedicata al mantenimento dell’esistente, ci si rende conto che esistono condizioni che devono necessariamente essere sanate per restituire all’IT efficienza e supporto adeguato allo sviluppo del business aziendale. L’esigenza da parte di tutti è oggi riprendere il controllo dell’infrastruttura determinando maggiore efficienza ed efficacia delle risorse in utilizzo.

La virtualizzazione è il concetto che si è rivelato determinante nell’affermazione di un diverso modo di gestire gli effetti perversi dell’informatica distribuita: tra questi, innanzitutto, l’eccessivo incremento del numero di server, una sotto utilizzazione della capacità elaborativa, una rigidità nella gestione dei cambiamenti. Applicare nuove regole e ragionare in termini di virtualizzazione ha significato gestire dinamicamente più sistemi operativi e applicazioni con conseguente drastica riduzione del numero dei server, minore consumo energetico e una maggiore flessibilità nella distribuzione dei carichi di lavoro. Stessa logica si è applicata alla dimensione storage nei confronti della quale è sempre più opportuno trovare modalità di gestione centralizzata rendendo dati e informazioni disaccoppiati dalle piattaforme server applicative. Questa convergenza di interventi mirati a garantire efficienza e flessibilità trova nel Cloud delle possibili risposte. Il percorso che ha portato a un impiego diffuso della virtualizzazione è motivo che tende ad accreditare il Cloud come strategia di efficientamento di medio e lungo periodo.

 

Commodity on-demand

Dal punto di vista tecnologico, il Cloud è la convergenza di una serie di innovazioni che sono state realizzate a più livelli, di sistema e infrastrutturale. Lo si può in definitiva considerare come un nuovo modo di fornire e utilizzare la tecnologia, una naturale evoluzione dell’esistente che mette a fattor comune una molteplicità di ingredienti con un livello di omologazione, o commodity, sempre più spinto. Un metodo per potere abilitare applicazioni on-demand, fruibili attraverso la rete indipendentemente dalla collocazione fisica dell’infrastruttura di riferimento, condividendo un ampio numero di risorse a basso costo. La definizione comunemente accettata è quella del Nist (National Institute of Standards and Technology) in cui si afferma che il Cloud è un modello di elaborazione che abilita un accesso in rete a risorse di calcolo (Cpu, storage, reti, sistemi operativi), servizi e/o applicazioni, condivise e configurabili, che possono essere acquisite e rilasciate in modo dinamico.

È inoltre bene ricordare che il Cloud non è una vera e propria nuova tecnologia, piuttosto un diverso approccio all’utilizzo di tecnologie esistenti quali la virtualizzazione e il Web. L’obiettivo è creare una piattaforma di elaborazione che prescinde da una localizzazione fisica e che astrae le risorse hardware e software impiegate. Si possono distinguere tre tipologie di Cloud in base al tipo di risorsa remota:

1. IaaS (Infrastructure-as-a-Service) – Mette a disposizione dell’utente risorse e servizi infrastrutturali come server, storage e connettività. Tipico esempio IaaS è l’infrastruttura EC2 di Amazon;

2. PaaS (Platform-as-a-Service) – Una piattaforma software composta da servizi, programmi e librerie. In genere si tratta di un complesso di API specializzate per la realizzazione di applicazioni. Esempi PaaS sono Google App Engine e Microsoft Windows Azure;

3. SaaS (Software-as-a-Service) – Prevede l’utilizzo di un’applicazione remota. Esempi sono le applicazioni di Salesforce, le Google Apps o Microsoft Office Live.

 

Motivazioni all’investimento

Qual è la ragione di fondo che può spingere le aziende a prendere in considerazione il Cloud come forma di approvvigionamento IT? Per rispondere a questa domanda si torna a una discussione che non è certo nuova, ovvero quella legata all’outsourcing. Quali sono le componenti IT che possono essere esternalizzate, quale logica di provisioning può essere presa in considerazione? Questa discussione diventa oggi ancora più interessante poiché l’erogazione e l’accettazione di servizi Cloud comporta il vantaggio di esternalizzare lo stack completo della componente informatica complessiva con potenziali vantaggi in termini di riduzione di costo, o quanto meno in una serie di benefici che derivano dal passaggio da un investimento in capitali a un investimento operativo. L’approccio Cloud all’acquisizione di risorse di elaborazione offre indubbi vantaggi. La fornitura come servizio evita all’azienda di fare investimenti hardware e software e di occuparsi della loro manutenzione ed evoluzione. Si possono, inoltre, utilizzare le risorse soltanto per il tempo che si ritiene necessario. Vi è poi la possibilità di poter aumentare o diminuire la richiesta di risorse in base all’effettiva necessità del momento consentendo una elevata scalabilità. Se, infine, un’azienda vuole realizzare un nuovo servizio, il Cloud le consente di concentrarsi sulla realizzazione del servizio, evitando di doversi dotare dell’infrastruttura idonea e di occuparsi della relativa gestione e manutenzione. Importante, rispetto a quest’ultima considerazione, è come il Cloud possa sempre più rispondere agli economics del data center riducendo la spesa complessiva di quest’ultimo che è oggi primariamente associata ai costi di gestione. Più del 50% della spesa associata ai server viene infatti indicata da IDC come costo di gestione, mentre la quota hardware risulta essere inferiore al 20%. Aumenta invece la spesa energetica, ma ancora una volta, anche in questo caso, il Cloud offre possibili risposte per incidere positivamente su una sensibile diminuzione di questo ulteriore fattore di costo.

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Il Cloud computing in ambiente business

In base a uno studio realizzato da McKinsey, il Cloud computing non è economicamente vantaggioso per le grandi aziende. William Forrest, analista della società, mette in risalto come il modello dell’Internet data center possa essere più adatto per le piccole e medie aziende. Intendiamoci, la linea di separazione tra grandi e piccole e medie aziende è stabilita secondo la logica del mercato americano e lo spartiacque tra le une e le altre è definito in termini di volume d’affari. Secondo McKinsey il confine è stabilito in una cifra prossima ai 500 milioni di dollari, fatturato che rapportato alla dimensione industriale italiana sarebbe rappresentativo della stragrande maggioranza delle società attualmente in esercizio. Il Cloud computing viene invece definito comunque vantaggioso soprattutto per quelle realtà caratterizzate da una rapida crescita e da un’evoluzione difficilmente prevedibile.

 

A chi conviene?

Per quanto riguarda le grandi aziende il rapporto evidenzia come il costo dell’erogazione dei servizi IT, nel passaggio da un data center aziendale a un Internet data center, possa essere più che doppio. I risultati di McKinsey sono frutto di un’analisi che ha preso in esame l’infrastruttura di computing di un proprio cliente che opera nel mercato finanziario e, in particolare, il costo associato alla gestione delle applicazioni Windows e Linux che soddisfano alcuni dei processi aziendali più importanti dell’azienda. Il confronto è stato fatto tra i costi attualmente sostenuti e quelli che deriverebbero nel migrare le applicazioni in una Internet Cloud come quella fornita da Amazon. Tranne che per alcune applicazioni Linux, il prezzo da pagare, nel passare da una logica proprietaria a una logica on demand, è risultato essere di circa il 150% superiore. Il costo totale per Cpu, calcolato su base mensile, sarebbe di 366 dollari sulla Cloud di Amazon rispetto all’attuale costo di 150 dollari. Non solo, l’analista di McKinsey sfata anche il mito secondo il quale il Cloud computing consentirebbe di ridurre drasticamente il personale IT dell’organizzazione. Analizzando la struttura del cliente finanziario emerge che dei 1.700 addetti al dipartimento IT solo un 15% è strettamente connesso alla manutenzione hardware e software, una percentuale che non viene ritenuta sufficientemente attraente per sposare il modello del Cloud computing.

Se queste sono le premesse nessuno può immaginare una grande azienda che trasferisca in blocco il proprio sistema informativo in una qualche Cloud di un provider Internet. Può essere invece utile provare a ragionare sulla fattibilità e convenienza nell’esternalizzazione di alcuni selezionati servizi, di collaboration, di posta elettronica e videocomunicazione. Singole applicazioni che potrebbero risultare economicamente più efficienti se portate su Internet e gestite secondo una logica di servizio.

Sulla stessa lunghezza d’onda di McKinsey è il ragionamento di IDC. «È ora di iniziare a parlare di economics – dice Matt Eastwood, vice presidente Enterprise Platform & Datacenter Trends di IDC -. Non sempre il Cloud può essere vantaggioso. Organizzazioni che hanno fatto investimenti sostanziosi nel processo di automazione, consolidamento e virtualizzazione affermano di potere erogare un servizio IT a un costo nettamente inferiore. Le grandi aziende – continua Eastwood – saranno quelle che procederanno più lentamente in quanto tendono a privilegiare un approccio evolutivo più conservativo».

Secondo l’opinione di Eastwood non ci si può nascondere che a breve e medio termine possa prevalere una condizione caotica, in cui il servizio IT sarà in parte erogato via Cloud e in parte on premises. E sicuramente la componente Cloud privilegiata sarà quella privata. «Occorre tenere presente che presso grandi organizzazioni sono installate centinaia di migliaia di applicazioni, condizione – dice Eastwood – che obbliga le aziende a pensare in modo diametralmente opposto rispetto a quanto accade nelle Internet companies che operano in ambienti pubblici».

 

Il ruolo delle organizzazioni IT

Sei si analizza il fenomeno guardando allo scenario globale si può comunque affermare che le aziende stanno già oggi utilizzando e usufruendo di tecnologie Cloud. Il tutto non avviene secondo logiche strutturate e non incide in una trasformazione complessiva del data center, ma il fenomeno sta espandendosi a macchia d’olio. Ed è un fenomeno che viene alimentato dalle più diverse esigenze. Da una parte l’utenza business che trova risposte più adeguate all’esterno dell’organizzazione, per esempio per soddisfare richieste in ambito Crm, dall’altra esigenze di scalabilità del data center, come nel caso della sempre più ampia necessità di analizzare grandi volumi di dati. Pressioni che nell’uno e nell’altro caso sollecitano risposte diverse dal passato e contribuiscono a determinare un’accelerazione nelle dinamiche evolutive del Software-as-a-Service e un più efficace e intensivo utilizzo del data center. Se le organizzazioni non si muoveranno in fretta – rileva inoltre Eastwood – la componente business tenderà a bypassare la componente IT aziendale. E si prospettano dei conflitti, afferma Eastwood, che potranno sfociare in una dimensione IT non controllata. Ecco perché in questo processo di trasformazione è importante che sia il Cio ad assumere la leadership, mettendo al riparo l’IT da prevaricazioni interne.

Gran parte dei sistemi informativi aziendali fanno riferimento ad architetture ampiamente virtualizzate, condizione che costituisce la premessa a una realizzazione di un ambiente Cloud. La nuova logica di strutturazione del data center attorno alle regole del Cloud computing è la sfida con cui si confronta l’intera industria dell’ICT. Non ci si interroga più sulla fattibilità dell’evento, ma sulla capacità di riconoscerne i vantaggi e coglierne le opportunità declinando l’implementazione dei requisiti in base a una politica di servizio.

Nell’ambito dei sistemi informativi si sta prefigurando un cambiamento che influenzerà in modo significativo l’assetto delle infrastrutture aziendali. La migrazione dell’IT al Cloud sarà un percorso inevitabile, affermano gli analisti. In quale modo verrà attuato è ancora del tutto imprevedibile. Public Cloud, private Cloud, o una combinazione di entrambe in una forma di tipo ibrido? Gli scenari possibili sono molteplici. L’ipotesi più accreditata è che non vi sarà una migrazione che interesserà l’intero spettro delle applicazioni oggi esistenti in area enterprise. Parte di queste continueranno a risiedere presso il cliente, parte migreranno sulla rete.

 

Conflitto pubblico-privato?

Da quanto sinora affermato risulta evidente che il Cloud sia un’opportunità che può essere valutata in ordine a servizi e applicazioni che possono essere erogati da una public Cloud. Tipologia tipica di questa dimensione è tutto quanto non ha una interdipendenza diretta con applicazioni aziendali core, vale a dire tutti quei servizi, come abbiamo detto in precedenza, che possono essere acquisiti senza compromettere e mettere in discussione lo stato pregresso delle risorse IT di un’organizzazione. Posta elettronica, servizi di videoconferenza, analisi dei dati, così come soluzioni dedicate a singoli dipartimenti, come il Crm, vedi il successo di Salesforce.com come complemento alle attività di marketing. Soluzioni e applicazioni di tipo orizzontale e verticale.

Per quanto riguarda il cambiamento sostanziale del data center aziendale, questo avverrà con tempi e modi che saranno coerenti con la migrazione complessiva delle risorse IT in un percorso caratterizzato da interventi di consolidamento, razionalizzazione e virtualizzazione che potrà portare alla definizione di un ambiente Cloud ready. I modi e i tempi in cui verrà attuato dipendono dalla dimensione societaria e dallo specifico storico di ciascuna azienda. In ambito enterprise è un percorso che Eastwood ritiene che si possa sviluppare nell’arco di 5-10 anni e che confluirà prevalentemente all’interno di private Cloud, sebbene sia difficile tracciare una linea di confine tra ciò che nel tempo potrà appartenere a questa tipologia di piattaforma e quanto a una pluralità di servizi che proverranno dall’esterno. Nei prossimi dieci anni assisteremo, infatti, allo sviluppo di nuove applicazioni e servizi che verranno sviluppati ex novo in ambito Cloud. Non sappiamo esattamente ancora quali potranno essere, ma potrebbero rimettere in gioco la fattibilità di utilizzo di applicazioni over the Cloud da parte di un ampio numero di aziende, anche quelle più conservative.

 

Il processo di migrazione

Come avverrà la migrazione della componente tradizionale? È un processo già iniziato e possiamo immaginarlo suddiviso in quattro fasi, così come documentato nello studio di Ian Tyndall dell’Università del Maryland “How Cloud computing is disrupting corporate technology”. La prima fase corrisponde al consolidamento, un approccio che consente alle aziende di ridurre la spesa IT impiegando tecniche di virtualizzazione che permettono di ridurre il numero fisico di server associando questi ultimi alla dimensione logica consentita dalle virtual machine. La seconda fase è il miglioramento di efficienza perseguibile attraverso una riallocazione dei workload che permette di assegnare risorse in modo dinamico coerentemente con la configurazione logica delle macchine in esercizio. Significa guadagnare in produttività poiché l’operatività di nuove istanze avviene in tempi rapidissimi, al contrario dell’approccio tradizionale che necessita l’acquisizione di un nuovo server. La terza fase corrisponde alla piena virtualizzazione e questa avviene nel momento in cui tutti gli elementi e le risorse sono configurate in modo tale da consentire un piano completo di disaster recovery. L’unica limitazione a un ambiente così strutturato è la capacità infrastrutturale di rete e l’ultima fase è quella che prelude alla effettiva implementazione di un Cloud computing alternativo al data center tradizionale.

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Dalla breve descrizione dei passaggi che introducono a una migrazione effettiva al Cloud si può comprendere che i tempi in cui si potrà realizzare uno spostamento significativo dell’IT in una dimensione Cloud non saranno brevi e che componenti di primaria importanza di alcuni sistemi informativi aziendali forse non saranno mai esportati nella nuvola. Per il momento la maggior parte delle aziende ha compiuto interventi che corrispondono alle prime due fasi e che si rifanno al consolidamento e razionalizzazione di parti, anche importanti, del data center. La discriminante alla fruibilità di applicazioni, servizi e risorse nel Cloud appare quindi essere primariamente associata al loro indice di esportabilità.

 

Il peso economico

Se oggi i ricavi Cloud derivano in massima parte dalle applicazioni (circa il 50%), nei prossimi cinque anni si assisterà a una più forte differenziazione delle singole voci di spesa. Le componenti che acquisiranno più volume rispetto a quello odierno sono rappresentate, in base a quanto indicato da IDC, dallo storage, dai server e dallo sviluppo e implementazione delle applicazioni. Secondo quanto affermato, la spesa corrente riferibile al Cloud computing equivale al 5% del fatturato IT mondiale e lieviterà fino al punto di rappresentare, a fine 2013, una percentuale di circa un 10% degli investimenti globali. Un decimo della spesa IT, quindi, sarà dettato dalle dinamiche imposte dalla nuova generazione dei servizi che saranno fruibili via Internet e che risiederanno over the Cloud. Se il margine di incremento delle nuove tecnologie di infrastruttura Internet può sembrare di basso impatto sulla complessiva crescita del mercato, IDC tiene a sottolineare come i valori espressi con questi ultimi dati facciano riferimento esclusivamente alla componente public Cloud e non a quella private, ovvero non sono calcolati i possibili cambiamenti e conseguenti investimenti che si potranno verificare a livello enterprise. Su questo aspetto, ovviamente difficile da quantificare, IDC è molto cauta. Al di là di una generica previsione su una significativa espansione della tecnologia tradizionale verso un approccio Cloud, la capacità di prevedere con una certa esattezza la progressione dei sistemi informativi verso una infrastruttura di questo tipo è tutta ancora da immaginare con una certa dose di realismo.

 

Effetto Cloud

Per effetto della globalizzazione informatica, del progressivo consolidamento di Internet come infrastruttura di comunicazione e dell’utilizzo sempre più intensivo ed estensivo della rete, la potenza elaborativa del pianeta Terra tende a concentrarsi nei conglomerati software e hardware delle Net Companies, società che rendono disponibili servizi e applicazioni online. È l’effetto Cloud che provoca una crescente e massiccia affermazione di mega data center sparsi in tutti i luoghi del pianeta. E il numero di server utilizzati all’interno delle nuove strutture tende ad aumentare e ad accelerare. Il responsabile della ricerca in Microsoft, Rick Rashid, ha affermato che circa il 20% dei server venduti a livello mondiale vengono ora acquisiti da un piccolo gruppo di Internet companies, tra queste Microsoft, Google, Yahoo e Amazon. È bene ricordare che attualmente il numero di server venduti a livello mondiale corrisponde a circa 8 milioni di unità. Ciò significa che le quattro Cloud company metabolizzano ogni anno circa 1 milione e mezzo di server. Un volume hardware tale da condizionare inevitabilmente le dinamiche del mercato server e la stessa evoluzione tecnologica. Nello studio condotto da Federico Etro, professore associato di economia all’Università di Milano, si sostiene che l’effetto Cloud comporterà un cambiamento nella natura della spesa IT con una riduzione della quota capital spending a favore dell’operational spending, in particolare presso le piccole e medie aziende che si troveranno nella condizione di sfruttare tecnologia state of the art, in modo del tutto flessibile e coerente con l’evoluzione della dimensione societaria. Servizi e applicazioni erogati via Internet modificano di fatto il rapporto tra aziende e IT, rapporto dove quest’ultima è destinata a essere non più una risorsa interna, ma una vera e propria public utility.

 

Software-as-a-Service

Sempre più applicazioni verranno erogate attraverso la logica del Cloud computing o, per dirla in altri termini, in modalità Software-as-a-Service (SaaS). Tutti i grandi software vendor si stanno posizionando per avere una offerta mirata a soddisfare le esigenze dei clienti in modo più articolato rispetto al passato. Non solo, quindi, applicazioni tradizionali, basate sull’acquisizione del software, secondo un modello licence-based, ma applicazioni Internet erogate da un data center in funzione delle specifiche necessità dei clienti. Al di là delle pioneristiche iniziative adottate in questo ambito da Salesforce.com, che di fatto ha creato il proprio business attorno al paradigma SaaS, un sempre più nutrito numero di soluzioni hanno iniziato a essere disponibili online. SAP e Microsoft hanno dimostrato che il SaaS non è più soltanto un’idea tecnologica, ma un’opzione che ha tutte le carte in regola per potere essere apprezzata dal mercato. Se da una parte la sfida, per le aziende che operano in ambiente business con soluzioni software consolidate, è rappresentata dalla definizione di un portfolio di prodotti SaaS allineato al nuovo paradigma del Cloud computing, dall’altra risulta altrettanto importante mettere a punto l’infrastruttura di Internet data center che permetterà l’erogazione di queste soluzioni. Ciò che si può ipotizzare, rispetto a quanto sta avvenendo in questo periodo, è che la competizione tra le grandi case di produzione del software sarà sempre più giocata sulla capacità di coniugare l’offerta tradizionale con una proposizione SaaS e, di conseguenza, sull’efficienza degli impianti tecnologici che devono provvedere a soddisfare l’erogazione delle applicazioni via Web. Rick Rashid di Microsoft intravede in questa tendenza la possibilità per sviluppare nuove idee costruttive adatte per rispondere in modo diverso a questo modello di computing. La centralizzazione dei dati è in particolare l’aspetto su cui si sofferma Rashid: la possibilità di raggruppare una conoscenza diffusa in un concentrato di risorse tecnologiche potrebbe presentare dei vantaggi enormi. Ogni volta che si verifica una transizione a una nuova forma di architettura di computing, continua Rashid, si tende a dare per scontato che le applicazioni supportate saranno quelle utilizzate correntemente. Ma la nuova architettura, spiega il responsabile della ricerca di Microsoft, lascia spazio ad applicazioni che nessuno ha mai ipotizzato. Siamo solo nella prima fase di una centralizzazione della potenza di computazione e di comunicazione e la scalabilità prevista estenderà in modo significativo quanto finora concepito.

 

Nuovi equilibri

Attorno alle nuove dinamiche di sviluppo che interessano il tradizionale mercato dell’informatica si innescano tutta una serie di acquisizioni mirate a integrare tecnologie e competenze necessarie per implementare la nuova logica di servizio. Per quelle aziende primariamente focalizzate sulla componente hardware, la differenziazione del business è un’esigenza irrevocabile. La sempre più ridotta marginalità di profitto obbliga a trovare aree di intervento che possano favorire la generazione di nuovo valore. E in questa prospettiva si inserisce la strategia Cloud, grazie alla quale i clienti potranno esaminare l’opportunità di accedere a risorse e soluzioni IT off-premises laddove si evidenzi un vantaggio economico.

Il Cloud computing cambia rapidamente la natura del mercato server. I data center around the world di Google, Microsoft, Yahoo! e IBM stanno progressivamente assorbendo la capacità complessiva dell’hardware utilizzato. Una stima approssimativa (statistiche vere al momento non ne sono ancora state prodotte) indica che una percentuale di circa il 50% delle risorse elaborative non risiede più all’interno del perimetro dei data center aziendali. Server farm, o data center in the Cloud, sono ampiamente sfruttati dai software vendor che hanno iniziato un percorso SaaS, mettendo gli utenti nella condizione di accedere ad applicazioni e servizi on demand. Primo tra tutti Salesforce.com, sebbene il modello SaaS sia ormai ampiamente adottato secondo un criterio di selezione applicativa da molti player del software enterprise. Basti ricordare SAP, Oracle oppure CA Technologies.

 

Come cambia la tecnologia

Interessante è comprendere la tipologia delle piattaforme server utilizzate all’interno di questi data center in the Cloud. Si dice che i Google server siano autoprodotti. La personalizzazione, in generale, è estremamente elevata. A differenza della tecnologia utilizzata all’interno dei data center aziendali, quella in uso nel Cloud computing ha un livello di sofisticazione più elevato, grazie al fatto che l’impianto computazionale-informativo è il corrispettivo della Formula Uno per le auto. Andiamo verso un modello di utility computing, erogazione di servizi attraverso complesse architetture di grid computing, dove l’hardware viene in gran parte utilizzato secondo modalità innovative. Una tendenza che incide sensibilmente sulla tipologia di acquisto affermatasi sino a questo momento. Cambia in particolare il livello di densità delle risorse elaborative. Un data center in the Cloud può essere realizzato in un container di 300mila server. L’infrastruttura di Microsoft si dice che aumenti di 10mila server al mese e che probabilmente si arriverà a 20mila server al mese. Per comprendere meglio la quantità di server in utilizzo presso gli MS data center basti pensare che la piattaforma complessiva di Facebook si regge su una batteria di circa 10mila server. La competizione tra gli hardware vendor che hanno finora dominato il segmento server viene quindi a essere nettamente modificata da una tecnologia disruptive come quella del Cloud computing, una tecnologia che crea appunto discontinuità nell’acquisizione e configurazione dell’hardware.

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Quale leadership?

In base a quanto affermato da Gartner sono Microsoft e VMware le aziende che hanno tutte le caratteristiche per potere essere accreditate a breve – verosimilmente nel 2013 – come le aziende leader di mercato in ambito Cloud ed enterprise. SAP e Oracle, le aziende che attualmente presidiano il mercato enterprise, difficilmente potranno emergere come leader a tutto tondo del nuovo paradigma tecnologico, così come gli attuali Cloud leader – Amazon, Salesforce.com e Google – non diventeranno, quanto meno nel breve termine, società di riferimento per il business aziendale. Certo, tutte le più importanti aziende avranno un ruolo nella catena di valore propositiva del Cloud, ma la completezza nelle diverse declinazioni, private & public, e la capacità di offrire infrastrutture, piattaforme e software secondo il paradigma di servizio prospettato dal nuovo modello di computing appartiene a Microsoft e VMware. Sono loro, afferma Gartner, che stanno creando i presupposti per avere una copertura estesa dei profili tecnologici associati a questo modello. Secondo la società di analisi, Microsoft è la società che al momento ha elaborato la più completa visione del Cloud e, nel giro di pochi anni, l’attuale offerta enterprise potrà avere un corrispettivo in ambito Cloud. Al contrario di Microsoft, che si pone sia come abilitatore sia come fornitore, VMware sembra invece orientata a essere esclusivamente un abilitatore del Cloud. Infine, così come appare da quanto esposto da Gartner, la terza azienda con una strategia che potremmo definire full Cloud è IBM, le cui capacità, pur presenti attraverso l’intero ciclo di valore e con un focus, sono percepite soprattutto nella fornitura di servizi nella dimensione privata.

 

Pronti, attenti, via!

Di fatto, il fine ultimo del Cloud è l’ottimizzazione, nella sua forma più estrema, delle infrastrutture. Puntare a questa modalità di gestione del data center e alla conseguente erogazione di applicazioni e servizi, significa mirare a una maggiore produttività ed efficienza. In altre parole: acquisire più utenti a parità di risorse utilizzate. Ovviamente non vi è un Cloud univoco, esistono ambienti specifici di ordine diverso, di infrastruttura, di piattaforma, di applicazioni e su ciascuno di questi deve esser garantita efficienza operativa, così come risparmio sui costi di gestione.

 

Fattibilità e convenienza

L’economicità è uno dei fattori scatenanti il nuovo paradigma del computing, così come inteso in una logica Cloud, nella quale si configurano due entità, quella del fornitore, in ottica di infrastruttura, di piattaforma o di applicazione, e quella del cliente, ovvero di colui che usufruisce del servizio erogato. In una Cloud pubblica questi due elementi sono separati, si pensi per esempio alla Internet company per antonomasia, Google; in una Cloud privata, di tipo enterprise, i due elementi possono invece coesistere, ovvero l’azienda è al tempo stesso fornitore e fruitore del servizio erogato. La fattibilità e la convenienza nel perseguire questo modello a livello enterprise è conseguenza di una mappatura delle applicazioni e servizi in utilizzo presso l’organizzazione di riferimento. Non tutte le applicazioni sono predisposte per potere essere traslate nel Cloud. Vi possono essere vincoli tecnologici, così come di convenienza economica, nel mantenere in essere risorse ereditate dal passato, si pensi per esempio alle applicazioni mainframe.

In una visione prospettica, il Cloud riveste una importanza strategica. Su questo paradigma di servizio le aziende che non ragionano soltanto su problemi dettati dalla contingenza ed emergenza, ma che cercano di stabilire percorsi evolutivi di medio e lungo periodo, si stanno dimostrando ricettive e comprendono la sostanza contenuta nel messaggio, poiché implica concetti di flessibilità economica e operativa, nonché riduzione dei costi e sostenibilità di aggiornamento tecnologico. Tuttavia non bisogna essere presi dall’entusiasmo e credere che al Cloud corrisponda sempre e comunque una scelta priva di rischi. Vi possono essere problemi e costi nascosti difficilmente ravvisabili. Insomma una cosa è pensare di utilizzare un servizio ex novo, altra cosa è iniziare a pensare al Cloud in termini di migrazione di parti del sistema informativo delle aziende.

 

Ready to go

Il know how e l’esperienza di virtualizzazione acquisita nel corso degli anni permettono oggi alle aziende di prendere in considerazione ambienti fortemente Cloud oriented. Si tende a pensare che il Cloud sia un argomento astratto, ma non siamo più agli inizi degli anni Duemila. Allora si pensava che tutti avrebbero messo le proprie infrastrutture nei data center. Così non è stato. Non vi erano le condizioni che potessero garantire la sostenibilità di quel modello, sia in termini di connettività, sia di architettura. La virtualizzazione si è infine affermata e ha trasformato radicalmente la formulazione tecnologica del data center. Da allora si sono fatti passi da gigante e l’evoluzione è costante. Stiamo iniziando a parlare di Cloud verticali, vale a dire blocchi di tecnologia virtualizzata pienamente rispondenti ai requisiti del nuovo paradigma di servizi IT. Virtualizzazione, storage, unified computing, connettività, sono oggi gli elementi qualificanti per predisporre un’infrastruttura Cloud secondo una logica industriale che tende a razionalizzare e ottimizzare la creazione di un ambiente ad alta efficienza.

 

Espliciti vantaggi

Le dinamiche che in questi ultimi anni hanno caratterizzato l’evoluzione dei sistemi informativi – ovvero una tendenza a una razionalizzazione e ottimizzazione degli impianti elaborativi con una forte spinta alla centralizzazione – rendono peraltro implicito un possibile passaggio a ecosistemi di tipo Cloud. La massiva virtualizzazione operata a livello server all’interno dei comparti IT delle organizzazioni, ne costituisce un primo passo e, insieme, una premessa. Si è iniziato a virtualizzare – dice Matt Eastwood vice presidente Enterprise Platform & Datacenter Trends di IDC – perché vi erano espliciti vantaggi quali risparmio sulla spesa server, sullo spazio fisico utilizzato e in termini di riduzione del fabbisogno energetico. Ma il vero vantaggio, avverte Eastwood, sarà sulla parte operativa.

A parere di molti il Cloud tende a essere oggetto di attenzione e investimenti da parte delle aziende perché consente una riduzione complessiva del Tco. Non a caso, si afferma sempre più spesso che il Cloud si impone nel momento di maggiore crisi dell’economia. Eppure, recenti indagini mettono in luce come il Cloud non sia poi tanto associato a una riduzione del Tco, quanto piuttosto a un fattore di flessibilità, sia tecnologico che economico, che determina una disponibilità a pagare anche un prezzo più alto purché l’infrastruttura tecnologica, così come configurata dal Cloud, possa consentire di raggiungere una maggiore agilità operativa.

 

Cosa c’è dopo la virtualizzazione?

È questa la domanda che iniziano a rivolgersi le aziende. E l’evoluzione si preannuncia ricca di nuove opportunità. Data center over the Cloud vengono oggi predisposti attraverso un percorso Vblocks, blocchi di tecnologia virtualizzati, prefabbricati e pienamente integrati. L’obiettivo è fornire un percorso accelerato verso l’adozione del Cloud computing che possa conferire all’utente significativi vantaggi in termini di riduzione di spese, sia in un’ottica Opex, sia Capex, vale a dire riduzioni di investimenti in spesa capitale e operativa.

Il Cloud computing si rivela come un’opportunità per intraprendere un diverso rapporto con i clienti e aprire la strada a una modalità di fruizione ed erogazione dei servizi basata su regole e approcci al mercato in sintonia con il nuovo paradigma operativo. Potenza elaborativa e di storage viene messa a disposizione degli utenti via Internet consentendo loro di azzerare il costo operativo di gestione delle infrastrutture, avviando così un modello di business che si affranca dalle regole classiche del sistema informativo proprietario on premises. I tempi sono maturi: in base a quanto previsto da Gartner, alla fine del 2012 gli investimenti complessivi associati a servizi Cloud aumenteranno dai 68 miliardi di dollari stimati nel 2010, a una cifra prossima ai 100 miliardi. «Più di 100 milioni di applicazioni sono installate worldwide – afferma Matt Eastwood di IDC -. Un server su cinque di quelli che vengono oggi installati a livello globale sono virtualizzati». Europa occidentale e nord America sono le aree dove si è proceduto con maggiore rapidità nell’implementazione del Cloud e il 40% delle aziende sono considerate virtualmente disponibili a una sua utilizzazione. Non significa che si sia fatto molto in termini concreti, ma la novità è che si sta iniziando a pianificare. I tempi di incubazione, per Eastwood, sono di circa 5-10 anni e lui considera il Cloud come lo stato futuro dell’evoluzione. «Continueremo ad avere una forte focalizzazione su aspetti quali consolidamento e razionalizzazione dei data center, ma vi saranno anche applicazioni che verranno create ad hoc per trarre vantaggio dalla scalabilità del Cloud, mi riferisco in particolare alle applicazioni analitiche, di Business Intelligence».