VMware: virtualizzare il virtualizzatore

Dopo aver pensato di virtualizzare tutto in ambito IT, ora VMware si prepara a virtualizzare lo stesso data center

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Quello che ha lasciato stupiti durante la presentazione di Alberto Bullani, regional manager di VMware per l’Italia, dei nuovi prodotti, è la vastità e l’articolazione dell’offerta. D’altra parte la virtualizzazione cresce, spinta anche dalla diffusione del cloud. Nel 2008 i server virtuali erano circa il 25% del totale mentre, si stima, che entro la fine del 2012 arriveranno al 60%. E l’interesse non tende a diminiuire, come dimostra il numero dei partecipanti al VMworld, che negli stessi anni è passato da 13mila a 20mila. Per capire questo fenomeno, bisogna pensare, che nel 2008 l’informatica era molto orientata al desktop come piattaforma naturale per le applicazioni; i tablet non avevano fatto ancora la comparsa e gli smartphone erano agli albori. Nel frattempo i social network hanno cambiato il modo di scambiare le informazioni: più piccole e molto più numerose. Di conseguenza l’IT deve cambiare in questa direzione, visto che oggi è il consumer che orienta l’IT nelle aziende, e stiamo andando verso un mondo sempre più cloud. Il nuovo approccio – e a confermarlo c’è anche l’ultima versione del sistema operativo server di Microsoft – non può che essere quello che è definito il software defined data center. In realtà, non si tratta di una grande novità: basti pensare a Google, Amazon, Facebook, solo per citarne tre, tra i più famosi. Ma questo modello deve arrivare anche alle aziende. Adesso, ci troviamo di fronte a un grosso vincolo: la rete è molto legata al device fisico e i tempi di provisioning sono lenti. Nel nuovo panorama l’esigenza non è più solo quella di spostare le macchine, ma addirittura l’intera rete. E’ per questo motivo, che – due o tre mesi fa – VMware ha acquisito Nicira per 1,2 miliardi di dollari, azienda specializzata, proprio nella network virtualization. L’offerta di VMware si articola sostanzialmente su tre livelli: infrastruttura (dal server al cloud), applicativo e accesso. L’idea è quella di singoli moduli che, a vari livelli, possono essere assemblati. La morfologia del data center sta cambiando velocemente: si sta passando, in un sempre maggior numero di realtà (anche di dimensioni non particolarmente consistenti), da un hardware defined data center a un software defined data center, dove l’hardware lascia il posto al software. Oggi, si guarda con sempre più attenzione all’astrazione dello storage e della rete. Infatti, la messa in produzione di una macchina virtuale presenta ancora una serie di problemi: indirizzo IP, sicurezza e così via. Esistono sostanzialmente due modelli di soluzione al problema. Il primo – quello che è spesso usato – è mettere un livello di orchestrazione sopra un hardware defined data center, quindi con un focus molto orientato alla macchina virtuale e approccio web con utente. L’altro – quello sponsorizzato anche da VMware che si basa sostanzialmente su vCloud APIs, Web UI, Virtual data center – in cui non ci si limita a offrire un supporto per le macchine virtuali dell’utente, ma addirittura un pezzo del data center, che l’utente può gestire a suo piacimento, in pratica, un vero e proprio data center virtuale. Il risultato finale è un’interfaccia grafica intuitiva, che permette di gestire in modo semplice e immediato un data center che non c’è, ma che funziona.

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