Observer – L’eterna incompiuta della comunicazione aziendale

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Il 2009 ha segnato un calo a due cifre delle vendite di sistemi Pbx e il passaggio verso l’Ip telephony sembra ancora limitato alla “parte alta” del mercato. Il motivo è negli ancora insufficienti motivi per l’azienda a sostenere l’investimento. Un gap di comunicazione?


 


Il 2010 si è aperto con segni di risveglio nella componente “sistemi” dell’Ict. Certo, nel confronto con un primo trimestre 2009 disastroso per tutti, parlare di “stabilizzazione” dodici mesi dopo non è un gran passo avanti, ma è già qualcosa e se sui server pesa il consolidamento frutto della virtualizzazione, i Pc, almeno in volumi, stanno crescendo a ritmi robusti in doppia cifra.


C’è tuttavia un mercato, più piccolo, ma che interessa egualmente un vasto numero di aziende, per il quale da ormai troppo tempo si alternano previsioni radiose e consuntivi deludenti ed è quello dei sistemi di comunicazione aziendale. Un mercato che si scrive “enterprise communications” e che, almeno sulla carta, dovrebbe leggersi come “Ip telephony”, ma che continua a rappresentare, suo malgrado, un caso da manuale in negativo. Nonostante l’ingresso nell’ultimo decennio di attori abituati a correre come Cisco e (per il software) Microsoft, gli utenti non trovano ancora abbastanza motivi per investire seriamente e i costruttori non trovano abbastanza “leve” per vendere. L’acqua è buona, perché è quella della lungamente attesa convergenza tra l’It e la telefonia, ma il cavallo non beve.


Le difficoltà sono evidenti sul versante dell’offerta, dove il rimescolamento delle carte è stato vigoroso. Siemens ha ceduto nel 2008 il 51% (se avesse potuto avrebbe fatto di più) di questo comparto una volta florido, per 273 milioni di dollari al Gores Group, che già possiede Enterasys; Philips già nel 2005 aveva costituito come socio di minoranza una joint venture con NEC; il business dello spezzatino-Nortel è finito ad Avaya, le attività di Ericsson e di DeTeWe sono finite alla canadese Aastra, 3Com è stata acquisita da HP.

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Perché l’Ip telephony?


Con un quadro del genere, il calo a due cifre del 2009 non è stato certo una sorpresa. Su scala mondiale, secondo gli analisti di MZA Consultants, il mercato dei Pbx è sceso del 22% in volumi (numero di linee di sistemi tradizionali e di sistemi Ip based, esclusi i micro Pbx), passando da un disastroso -30% del primo trimestre a un più “soft” –10% del quarto. Il calo è stato naturalmente maggiore per i centralini (Pbx) tradizionali, di tipo Tdm, con il –26%, mentre è stato del 9,4% per le nuove generazioni di Ip Pbx. Nel quarto trimestre, i centralini tradizionali sono diminuiti di oltre il 14%, mentre gli Ip sono saliti di quasi il 5%.


Una flessione a due cifre, anche se forse meno violenta si è registrata anche in Italia, in un mercato che per NetConsulting vale circa 360 milioni di euro, servizi di supporto e manutenzione inclusi. «Nel 2009 stimiamo una flessione tra apparati e servizi in singola cifra, mentre per i soli sistemi si può parlare di una riduzione del 10-15% in valore», a detto a Data Manager Riccardo Zanchi, partner responsabile della practice telecomunicazioni del think-tank milanese che da anni “misura” il mercato dell’Ict per conto di Assinform.


Insomma, malgrado le promesse, la telefonia Ip non decolla ancora, né nella forma di nuovi investimenti diretti da parte delle aziende né in quella dei managed services. Sui motivi, si è interrogata in questi mesi IDC, che ha condotto una ricerca in cinque Paesi europei presso 2mila aziende e scoprendo che se il 73% delle imprese ha una certa conoscenza del tema, la media scende al 60% in settori chiave come la Pubblica istruzione, l’editoria, il commercio, le utilities. Conoscere l’Ip telephony non vuol dire comunque sposarla e infatti solo un’azienda su due del campione l’ha adottata (e per quasi tutti i settori, la percentuale di adozione è sotto il 30%). Secondo Giacomo Laurini, l’analista di IDC che con Giuliana Folco ha condotto da Milano l’indagine, la ragione è semplice. In tempi di crisi economica, «le aziende che hanno adottato la telefonia Ip sono convinte di aver ottenuto una riduzione dei costi di comunicazione con queste soluzioni, ma in molte realtà sembra che questo risparmio non sia ritenuto tale da giustificare il costo iniziale dell’adozione di una soluzione di Ip telephony».

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«Il punto è che non sono ancora abbastanza evidenti i vantaggi per la generalità delle aziende – ribadisce Zanchi di NetConsulting -. Ci sono ancora spazi di crescita, ma l’interesse maggiore si concentra nelle aziende di medio-grandi dimensioni e multisede, che sfruttano la rete dati anche per la telefonia Ip. Le piccole aziende che non hanno diverse sedi da collegare puntano semmai a selezionare le migliori formule tariffarie oggi sul mercato e in diversi casi “si accontentano” ancora di un Pbx di tipo tradizionale, anche quando devono rinnovare il parco, e per molti ciò avverrà nei prossimi anni, la tendenza si sposterà verso l’Ip».


 


Giustificare l’investimento


La minimizzazione dell’investimento diretto, il cosiddetto “upfront” ha dato fiato nel frattempo in questi anni alle soluzioni ibride, quelle degli Ip enabled Pbx, utilizzando il gateway Ip per la connessione verso eventuali altre sedi (a proposito: Skype da alcuni mesi ha anche introdotto versioni orientate ai Pbx Sip e a quelle basate su Pc con sistema operativo Asteryx/Linux, ma il successo è relativo) e mantenendo terminali e cablaggi esistenti, ma evidentemente formule di questo tipo non sembrano tali da portare grandi benefici operativi.


Per il momento, quindi, l’attesa rivoluzione dell’Ip telephony sembra destinata a restare incompiuta. Per continuare a fare i servizi di prima, perché cambiare il centralino? Per il puro amore della tecnologia, le aziende non aprono i portafogli e la quota ancora robusta che, soprattutto presso le Pmi, è ancora rappresentata dai sistemi tradizionali lascia intendere che, anche nel caso di nuovi impianti o di sostituzione di quelli vecchi, il salto tecnologico non è garantito. Quanto alla domanda indotta dagli operatori telefonici (per esempio managed Pbx, outsourcing), anche qui, confermano a NetConsulting, i risultati sembrano essere stati inferiori alle intenzioni.

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Dove sta la rubrica?


Si può uscire da questo loop al ribasso? La telefonia aziendale è destinata a diventare nulla più di una delle tante applicazioni delle reti, all’insegna dell’unified communication? Il mercato sta certamente cambiando, e se una volta “un centralino era per la vita”, destinato a essere cambiato dopo 15-20 anni per deperimento fisico più che tecnico, oggi le aziende che affrontano il cambiamento tecnologico devono prendere in considerazione parametri diversi, con un periodo di ritorno dell’investimento sufficientemente breve. Anche i fornitori, tuttavia, dovrebbero imparare la lezione, puntare a spiegare non “che cosa può fare un Ip-Pbx”, perché tanto è difficile che più di un decimo delle funzioni venga utilizzato, ma “che cosa un’azienda può fare” con questa tecnologia. Anzi, sarebbe bene che i venditori dimenticassero la parola tecnologia per parlare di servizi: spiegare come attivare un contact center, come integrare fisso e mobile, come realizzare in modo semplice un sistema di comunicazioni unificate e rilevazione di presenze.


Qualche anno fa, il capo dei sistemi di comunicazione aziendale di Siemens, intervenuto a un convegno a Londra, spiegava la ragione per cui anche in azienda il personale preferisse usare il cellulare invece del telefono fisso per fare le chiamate, pur a un costo maggiore: «Perché sul cellulare è più facile trovare la rubrica telefonica». Regola prima: non dare mai per scontata l’importanza della semplicità. Regola seconda: provare a spiegare ai clienti perché mai dovrebbero darvi dei soldi per cambiare quel che hanno in casa. Insomma, le telecomunicazioni in azienda potrebbero soffrire proprio di un gap di comunicazione.