Risposte dalla nuvola

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Che cosa vuol dire cloud computing? Serve davvero a tutti? Quali vantaggi comporta? E quali caveat si devono rispettare per una corretta implementazione. Per rispondere a queste domande abbiamo dato la parola ai service provider

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Cloud computing. Ormai uno di quei termini un po’ abusati, tipici della parlata tecnologica, che non facilitano la comprensione di un fenomeno estremamente articolato e complesso. Il cloud computing può essere considerato come tappa conclusiva – e certo non monotematica – di un percorso che inizia, per molti utenti professionali di informatica, con la virtualizzazione degli ambienti operativi, col consolidamento dei server. L’azienda virtualizza il suo hardware creando una o più macchine virtuali, integrando (incapsulando) quelle che sono le funzioni applicative che risiedono in ambienti di generazione ante-Web e facendo in modo che all’intero patrimonio applicativo si possa accedere in modalità Web service. In seguito le risorse virtuali interne vengono federate, nascono le “nuvole” private, aggregando risorse interne ed esterne grazie a opportuni standard. Su queste nuvole si fa del Platform-as-a-Service per usufruire di tutte le applicazioni. Abbiamo cercato in questa inchiesta di inquadrare e definire il cloud computing in un contesto di maggiore concretezza, per comprendere a chi serve davvero il cloud computing, a partire da quali dimensioni aziendali, con quali obiettivi di processo e di economia di scala, con quali requisiti di base e rispondere ai dubbi relativi a quali – tra software, infrastructure, Platform-as-a-Service – sono le articolazioni più giuste in funzione dei diversi processi interni. A margine delle risposte che leggerete di seguito, ecco un primo contributo sulle prospettive del cloud computing in Italia. Lo espone Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue (www.nextvalue.it), che attraverso la sua società di consulenza svolge da diverso tempo un puntuale monitoraggio dell’evoluzione di questo tema a livello locale: «Il termine cloud computing rievoca in tutti noi consumatori quella nuvola Internet che ci mette a disposizione una quantità eccezionale di servizi e di contenuti ormai di uso quotidiano. Nel mondo delle imprese può significare la liberazione dalla complicazione di gestire infrastrutture e applicativi, ma non senza qualche rischio implicito e qualche forte perplessità sul livello qualitativo dei servizi già disponibili. Nell’ambito business qualcuno preferirebbe rievocare altri servizi, facendo riferimento, parlando di cloud computing, al più familiare concetto di “sourcing”, magari definendolo oggi “innovativo” o “dinamico”. La sostanza è che il cloud computing è in grado di cambiare le cose, sia per chi lo utilizza sia per chi lo propone, o meglio, per chi ancora non lo propone». «Nextvalue – prosegue Gatti – ha seguito il fenomeno del cloud computing in Italia a partire da giugno dell’anno scorso, utilizzando la collaborazione di un primo panel che ha visto la partecipazione di 100 Cio di grandi imprese. Questo panel faceva seguito a un intenso lavoro svolto in precedenza in tema di SaaS. Presentammo una prima serie di risultati in un evento che ha visto la partecipazione di eminenti player quali EMC, Google, IBM, Microsoft, Oracle, TamTamy e VMware. I feedback espressi dal panel complessivo vanno decisamente nella direzione di confermare il progredire dell’affermazione del cloud computing nella grande e media impresa italiana e bastano alcuni numeri per sostanziarla. Il 12% dei Cio del nostro panel dichiara di aver già in corso iniziative di cloud computing e un ulteriore 20% di prevederne l’adozione entro quest’anno, anche se oltre la metà di questi ultimi è ancora in una fase di messa a punto della strategia complessiva. L’attrattività dell’investimento è molto alta rispetto agli altri investimenti e l’interesse verso il cloud computing è sia per ottenere servizi tecnologici e infrastrutturali sia applicativi». «Vi è una serie di ostacoli che vanno meglio compresi e superati – precisa Gatti -. Il principale è identificato dal 56% dei Cio nell’insufficiente cultura aziendale, eufemismo spesso usato per significare mancanza di esperienza o prudenza nel fare il primo passo quando manchino ancora utilizzi concreti e casi di successo verificabili. Anche la difficoltà a negoziare nuovi Sla e una presunta difficoltà all’integrazione dei servizi applicativi con quanto già esiste (35%), sono ostacoli da superare. Molto più sfumata appare l’obiezione in tema sicurezza e privacy, forse anche perché si tende a dare credito ai fornitori globali che possono aver già risolto i problemi connessi». «Significativamente spunta invece il tema Roi – aggiunge Gatti -: qualsiasi sia la posizione di fondo, oltre il 31% dei partecipanti ritiene che una seria verifica sul rapporto costi/benefici e, quindi, sul payback, debba essere svolta. Man mano che le nostre rilevazioni procedono sul territorio e si estendono a una dimensione d’azienda più bassa, le percentuali a favore del cloud computing migliorano. Certamente rimane ancora moltissimo da esplorare circa l’atteggiamento delle piccole e piccolissime aziende». «Sicuramente – conclude l’analista – vi è ancora una forte impreparazione al cloud computing da parte del sistema d’offerta, soprattutto da parte degli intermediari che lo considerano un forte rischio, ma occorre anche tener conto che nuovi soggetti e servizi nascono e si innestano tra i precedenti, in questo caso molto rapidamente. A me piace paragonarli ai nuovi alberi di una diversa specie che nascono qua e là in una foresta che per secoli è stata tale. Con tutta probabilità i nuovi alberi coesistono con i precedenti ma si moltiplicano in fretta e, così, dopo qualche anno la foresta cambia nome, non è più di pini ma di abeti. Nella prospettiva dell’It gli anni si misurano in mesi e giorni e la foresta precedente non è sempre fatta da solide querce».

Che cosa significa cloud computing dal vostro punto di vista? Come spieghereste questo concetto a un cliente che potrebbe trarre vantaggio da uno o più aspetti di questa tecnologia?

Prendiamo in prestito le definizioni che Ugo Morero, brand manager enterprise di Dell in Italia (www.dell.it), ha stilato per rispondere al nostro primo quesito. «Concettualmente – spiega Morero – utilizzare il cloud significa accedere a una risorsa on demand (server, servizio o applicazione che sia) proprio come se fosse una utility domestica, premendo un interruttore e pagando la bolletta solo per ciò che si è effettivamente utilizzato dentro a una rete interna all’azienda (private cloud) o su una infrastruttura esterna (public cloud)». Software-as-a-Service significa essenzialmente utilizzare software on demand, attraverso la rete. Un esempio concreto per Morero è quello dei Dell ProManage Modular Services, servizi di gestione del parco macchine completamente hosted, che il cliente utilizza senza alcun investimento iniziale e solo in base a modi e tempi decisi da lui. «Infrastructure-as-as-Service – presegue Morero – è forse il concetto oggi più chiaro e maturo». Si parla in questo caso di totale disaccoppiamento tra sistema operativo, programmi, hardware. Anche Dario Regazzoni, system engineer manager di VMware Italia (www.vmware.com/it/), ricorda come «alla base del cloud computing vi è sempre la virtualizzazione, che sgancia l’infrastruttura dalla fisicità e permette di trasformare un server in un file e iniziare a utilizzarlo in una maniera molto simile a un cloud pubblico». Un azzeramento dei vincoli di appartenenza che rende possibile pensare a strutture It scalabili, efficienti, altamente affidabili, utilizzate alla reale capacità di carico in modo del tutto trasparente per l’utente finale. Infine, riprende Morero, abbiamo il concetto di “Platform-as-a-Service”, la possibilità di utilizzare interi ambienti applicativi tramite Internet. «Si tratta di qualche cosa in più rispetto al semplice utilizzo di un software. Facebook, con cui Dell sta attivamente collaborando, per esempio mette a disposizione Api che gli utenti possono usare liberamente per creare nuove applicazioni da distribuire ad altri utilizzatori. E’ la rivisitazione in ottica cloud della Soa, le architetture orientate ai servizi, di qualche tempo fa. Nel prossimo futuro, vedremo molti nuovi servizi erogati con questo tipo di modalità». Oltre all’esempio citato da Morero, è possibile fare molti altri nomi di piattaforme virtualizzate. Tra i casi più celebri c’è quello di Google, che da tempo sfrutta le sue potenti infrastrutture di ricerca per differenziarsi nel mondo della virtualizzazione. «La proposta di Google (www.google.it/enterprise) per il cloud computing si chiama Google Apps Premier – afferma Gabriele Carzaniga, sales engineer manager Sud Europa di Google, divisione Enterprise -. Premier è una suite di applicazioni Web che al costo di 40 euro per utente l’anno comprende un servizio di posta con mailbox di 25 GB per utilizzatore e soluzioni per la chat voce/video, la condivisione di agende, documenti e video, nonché supporto tecnico telefonico in italiano». Ma la virtualizzazione del software come servizio è anche il cavallo di battaglia di un player locale come Zucchetti (www.zucchetti.it), che attraverso Giorgio Mini, il suo vice presidente spiega: «Il modello Zucchetti prevede una piattaforma applicativa in ambito Web, denominata Infinity Project, che integra nativamente soluzioni volte a coprire tutti i processi aziendali: Erp, gestione del personale, gestione documentale, Business intelligence e così via. Tutte queste applicazioni di Infinity Project sono poi disponibili in diverse modalità, dalla tradizionale licenza d’uso all’hosting o self-hosting fino al SaaS erogato grazie ad applicazioni che risiedono in realtà nella nostra server farm». Un altro provider che ricorre pesantemente a un paradigma di erogazione basato su cloud computing, è Symantec (www.symantec.it), ai vertici nel segmento della security, che da molto tempo predica i vantaggi della cosiddetta “sicurezza gestita”. «In un’ottica di Security-as-a-Service – afferma Alberto Bozzi, Bdm Mediterranean Region, Symantec SaaS Group – siamo in grado di garantire al cliente che ha l’assoluta necessità di semplificare, in maniera ugualmente sicura, attività come la protezione delle e-mail da virus e malware, di esternalizzare tali processi su una piattaforma cloud, con notevoli benefici gestionali ed economici». Meriti che vengono citati anche da Microsoft (www.microsoft.com/italy) che, con l’ambiente Azure, è uno dei principali protagonisti della spinta verso la virtualizzazione delle infrastrutture. «I vantaggi per le aziende sono notevoli e spaziano da una maggiore flessibilità a una riduzione consistente dei costi complessivi nell’erogazione dei servizi agli utenti finali. In questo ambito, Microsoft offre a clienti e partner soluzioni flessibili che combinano sia il software installato tradizionalmente che servizi cloud based», precisa Matteo Mille, direttore Server & Tools Business Group di Microsoft Italia. Il cloud computing visto da Juniper Networks (www.juniper.net), dichiara Giulio Barki, country manager Corporate and Government division, Italy, Greece, Ciprus e Malta, «è uno dei modi più intelligenti di gestire le risorse aziendali ed è il migliore approccio per le aziende e i server provider che richiedono un’elevata scalabilità alle proprie infrastrutture di rete». Mentre Anna Ottobelli, distinguished engineer di IBM Italia (www.ibm.com/ibm/cloud/), la chiama «una nuova modalità di “sourcing”: l’industrializzazione della fornitura dei servizi di It predisponendola ad affrontare le sfide rappresentate dalla rapida crescita della domanda». Lorenzo Gonzales, business consultant HP Technology Services, HP Italia (www.hp.com/italy), sottolinea in modo particolare le ricadute in termini di alleggerimento dei costi e dell’impegno in ambito gestionale: «L’utente non ha più bisogno di possedere ed effettuare la manutenzione di sistemi e applicazioni, sapere dove sono e come funzionano, investire per l’acquisto e la gestione. Il vantaggio è rappresentato dalla possibilità di “usare” semplicemente la capacità informatica, pagandone l’uso limitatamente per il periodo in cui questa è necessaria». Un aspetto, quest’ultimo, che deve tuttavia indurre a fare accurate valutazioni dei partner che dovranno affiancare le aziende nel cammino verso la nuvola. Enrico Campagna, direttore marketing di BT Italia (www.italia.bt.com), ritiene che il cloud computing può diventare innovativo e vincente «solo se combinato con una grande esperienza in tema di gestione di reti e servizi It». Nel Virtual Data Centre (Vdc) di BT questa esperienza «diventa il driver di un servizio che permette la predisposizione di un vero e proprio data center totalmente virtualizzato dove l’utente, via portale, può configurare le risorse e controllarne le performance». L’importanza dell’affidabilità viene del resto richiamata anche dalla Ottobelli a proposito della value proposition di IBM: «Si tratta di una nuova modalità di “sourcing”, un’industrializzazione della fornitura dei servizi di It messa in grado di affrontare le sfide rappresentate dalla rapida crescita della domanda. IBM ha un’offerta completa con approccio per “workload” che, in base alle loro caratteristiche, guidano la standardizzazione dell’It e dei servizi di business».

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Dai primi dibattiti in materia emerge, nelle aziende italiane, un elevato grado di perplessità in relazione alla complessità, i costi e l’utilità del cloud computing. Per quali situazioni e dimensioni aziendali può essere giustificato?

Sul tema del corretto allineamento tra la domanda manifestata dalle aziende italiane e la risposta tecnologica della virtualizzazione nel suo complesso interviene Antonia Figini, country manager di NetApp Italia (www.netapp.com/it): «La perplessità nei confronti del cloud computing deriva soprattutto dalla confusione generata dalle troppe definizioni diverse che sono state formulate. Secondo noi il tempo è ormai maturo, sia per le grandi aziende che per quelle medio piccole, per utilizzare questo tipo di soluzione. Le grandi aziende hanno la possibilità di sviluppare una parte dell’infrastruttura come cloud interno, quelle di medie dimensioni possono, invece, sfruttare il cloud computing per raggiungere una complessità e una sicurezza dell’infrastruttura, sia in termini di costi che di performance, che non potrebbero sviluppare in casa». E Barki di Juniper Networks osserva giustamente che i più entusiasti utilizzatori del cloud computing sono proprio gli individui, primi tra tutti i dipendenti delle aziende. «Basta pensare ai social networks e alle Google Apps – è facile rendersi conto dei vantaggi che queste offrono e di come ormai gli stessi dipendenti possono trasferire le loro conoscenze alla realtà aziendale. È il fenomeno della cosiddetta consumerizzazione del Web 2.0». Tirato indirettamente in questione, Gabriele Carzaniga di Google conferma questa visione: «Il cloud computing è una soluzione semplice a una serie di problemi complessi che ogni azienda si trova ad affrontare. Esternalizzare applicazioni come la posta elettronica, consente di eliminare i costi fissi dei server e dello storage, potendo contare sulla sicurezza e la disponibilità di servizio di un fornitore come Google». Sulla universalità dell’informatica virtualizzata concorda Domenico Fusco, direttore vendite di un altro provider di soluzioni e servizi di sicurezza, Panda Security (www.pandasecurity.com/italy). «Le tecnologie e i servizi basati sul cloud computing consentono a tutte le aziende, di qualsiasi dimensione e grado, di poter approdare a una soluzione informatica di questo genere. Questa piattaforma, soprattutto se applicata alla sicurezza, permette di fatto di ridurre la complessità e i costi della gestione». Alberto Bozzi di Symantec, dopo una prima fase di attendismo, ha notato «una certa propensione ad affidare determinati processi aziendali a partner esterni in modalità “as-a-service”. In questo ambito, Symantec ha elaborato un’offerta ad hoc per i propri clienti: gli Hosted Services, nati dall’acquisizione di MessageLabs nel 2008». Mentre Giorgio Mini di Zucchetti sostiene che determinate soluzioni siano connaturate più alla tipologia che alle dimensioni dell’azienda. A proposito della soluzione gestionale Infinity Project utilizzata in modalità SaaS, Mini dichiara: «Ritengo che una soluzione di questo tipo sia adatta a realtà che hanno più sedi/filiali dislocate sul territorio». Dario Regazzoni di VMware sottolinea del resto la necessità di pianificare con cura qualsiasi decisione: «Per evitare aspettative irrealistiche bisogna affrontare il cloud computing con molto pragmatismo, partendo da ciò che le tecnologie consentono e valutando, in base alle esigenze e aspettative dell’azienda, quale tipologia adottare, se un cloud virtuale privato, una soluzione ibrida o altro ancora. Strategico si rivela il modello pay-per-use del cloud, che consente di legare i costi all’effettivo utilizzo e quindi al business e di mantenere livelli di disponibilità estremamente elevati». Enrico Campagna di BT sottolinea che «il vero cambio di paradigma si realizza quando virtualizzazione e cloud computing sono implementati non dalla singola impresa per sé, ma da un provider su larga scala, così che tutte le aziende possano beneficiarne». Anna Ottobelli di IBM ricorda come l’adozione del cloud computing non comporta necessariamente scelte sostitutive radicali: «La virtualizzazione è solo uno degli aspetti del cloud computing che non richiede necessariamente di virtualizzare radicalmente l’intera infrastruttura. Non tutti i tipi di carichi di lavoro presentano le caratteristiche necessarie. Quelli con particolare affinità al cloud sono, per esempio, i servizi di social networking, collaborazione, posta, ambienti di sviluppo applicazioni e test, condivisione delle risorse di calcolo delle stazioni di lavoro». Infine Microsoft e HP fanno esplicito riferimento agli effetti intangibili della virtualizzazione su un piano di cultura aziendale e potenzialità di crescita e cambiamento. «L’adozione delle varie tecnologie che contribuiscono all’implementazione di infrastrutture in ottica cloud possono aiutare le aziende a concentrarsi sul loro core business e sfruttare al massimo le potenzialità delle infrastrutture e delle applicazioni: dalla virtualizzazione, per una razionalizzazione delle risorse fisiche, alle migliori tecnologie di gestione, che permettono di automatizzare i processi It, dalla possibilità di realizzare delle applicazioni facilmente scalabili all’occorrenza alla semplice sottoscrizione di servizi erogati da public cloud», dice Matteo Mille di Microsoft. Mentre per Lorenzo Gonzales, di HP, è importante inoltre sottolineare «che un’azienda può utilizzare il cloud per erogare a sua volta servizi, facendo leva sulle proprie eccellenze e sulle proprie competenze distintive, arricchendo, trasformando o addirittura creando una specifica proposta di valore, con cui è possibile raggiungere clienti in qualsiasi parte del mondo. La sperimentazione, infine, non richiede costosi investimenti e lunghi studi, poiché è fattibile semplicemente provando il servizio erogato da terzi». Un fatto comunque sicuro, è che nelle imprese italiane il cloud computing oggi è in una fase ancora embrionale, che lascia sperare in un elevatissimo potenziale di sviluppo. «Guardiamo il mercato – conclude infatti Ugo Morero di Dell -. Oggi il 44% delle imprese intende virtualizzare o ha già virtualizzato e solo il 2% sta approcciando il cloud. Detto in parole ancora più semplici: uno su due deve ancora virtualizzare e comprendere appieno le enormi potenzialità di questa tecnologia».

Quali sono i requisiti di base per un’azienda che voglia adottare soluzioni di cloud computing? Di che risorse interne deve disporre, come deve selezionare i partner e minimizzare i rischi di una cattiva implementazione?

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Fermo restando che ogni progetto di virtualizzazione e adeguamento anche parziale al cloud computing deve essere frutto di una riflessione e una conseguente azione personalizzata alle reali esigenze e ai modelli di business dell’azienda, abbiamo infine chiesto ai nostri interlocutori se è possibile identificare in partenza i requisiti della buona riuscita di un progetto di virtualizzazione. «Il cloud computing trova terreno fertile dappertutto – esordisce Giulio Barki di Juniper -. E’ importante che un’azienda abbia l’elasticità di capire come questa tecnologia possa trovare spazio nella propria realtà e quali benefici offra. Il partner con cui implementare il cloud computing riveste un ruolo fondamentale: deve conoscere il cliente e capirne i bisogni. Indubbiamente un approccio pay-as-you-grow come quello di Juniper Networks, può essere un ottimo punto di partenza per chi vuole avvicinarsi al cloud per gradi». Gradi successivi che Dell Computer formalizza nella metodologia “Wadim”: «Teoricamente per poter accedere a soluzioni di cloud computing un cliente ha bisogno di un semplicissimo accesso alla rete – spiega Ugo Morero -. Quando si tratta di nuove tecnologie come la virtualizzazione o il cloud, Dell suggerisce ai propri clienti un approccio pratico che sfrutta la metodologia Wadim, un metodo basato su cinque punti: il workshop per capire le potenzialità della nuova tecnologia; l’assessment per comprendere e quantificare i benefici; il design per toccare con mano, attraverso un piano specifico, l’infrastruttura attuale e quella finale; l’implementazione che il cliente può decidere di fare con Dell o in assoluta autonomia; e infine la manutenzione della soluzione implementata». Matteo Mille di Microsoft, ribadisce un criterio di flessibilità e personalizzazione, negando l’esistenza di una ricetta universale, ma delineando al tempo stesso scenari futuri molto stimolanti: «Le startup e le piccole imprese possono sfruttare a tempo zero, quindi senza particolari requisiti, la disponibilità dell’intera infrastruttura applicativa e di risorse computazionali a basso costo in un modello di business del tipo pay-as-you-go. Le aziende medio grandi, avendo già una infrastruttura It locale, possono focalizzarsi sull’abbattimento dei costi di sperimentazione e realizzazione di nuovi modelli di business con un time-to-market molto più aggressivo. Infine, le grandi aziende oggi valutano il cloud computing come meccanismo di outsourcing delle funzionalità e servizi di commodity, mentre in un futuro molto prossimo potranno iniziare l’outsourcing dello sviluppo, del management, del deployment e delle operation di molti aspetti core del proprio business». Flessibilità in partenza e solidità dei partner sono i consigli conclusivi di Lorenzo Gonzales di HP. «Per adottare soluzioni di cloud computing, a un’azienda serve un’infrastruttura tecnologica aperta, scalabile e flessibile, sostenuta da processi e strumenti per la gestione e l’automazione». E’ importante affiancare tale apertura a competenze architetturali specifiche e interne all’azienda, «indispensabili anche in ottica di riduzione del rischio. Avere un partner di riferimento affidabile e competente, in grado di affrontare a tutto tondo non solo la progettazione e realizzazione della propria strategia cloud (inclusi gli aspetti tecnologici e di processi It), ma anche le necessarie trasformazioni tecniche, operative e di competenze, con comprovata capacità di integrarsi con gli altri attori nel proprio ecosistema, è un fattore critico di successo». Sull’importanza del corretto approccio anche in termini culturali insiste Antonia Figini di NetApp: «Deve esserci un approccio di tipo culturale al cloud computing, bisogna cioè capire che è giunto ormai il tempo, anche in ambienti di produzione, di avere delle risorse non più limitate a svolgere un unico compito, ma che devono essere abbastanza flessibili per poter svolgere diversi compiti contemporaneamente e poter variare il tipo di servizio dato verso l’esterno». La Figini aggiunge tuttavia una annotazione sulla coralità della partecipazione ai progetti più estesi. «Fino a qualche tempo fa ci si rivolgeva a un unico partner in grado di fornire la soluzione nella sua totalità, oggi invece le aziende tendono a scegliere la migliore proposta sul mercato per ogni singola componente e quindi creare l’applicazione definitiva prendendo the best of breed sul mercato». Su aspetti specifici come la sicurezza, Alberto Bozzi risponde asserendo che Symantec non identifica requisiti aziendali minimi per adottare soluzioni di cloud computing. «Sono soluzioni on demand e, per questa loro natura, adattabili a tutte le esigenze dei singoli utenti o delle piccole, medie o grandi organizzazioni. Un’analisi preventiva svolta dai Symantec Hosted Services è in grado di supportare i partner in ogni fase: dalla valutazione delle tecnologie o soluzioni necessarie, alla loro implementazione». Infine, per restare nello stesso ambito, Domenico Fusco di Panda Security conclude ricordando il programma di certificazione dei partner che la sua azienda ha messo in campo proprio «con l’obiettivo di qualificare e garantire al mercato la miglior professionalità». Anche per questo la scelta di demandare a un partner la gestione di un servizio, come per esempio quello della sicurezza informatica, non richiede risorse particolari. «Nel caso di Security-as-a-Service, l’importante è selezionare un partner che sia in grado di supportare il cliente sull’introduzione di tale approccio interagendo dove necessario con altre realtà presenti nell’azienda».

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